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Violazione dell’embargo all’Iran. Perquisita un’azienda cinese a Pordenone

Perquisita un’azienda di componentistica per aerei, elicotteri e droni di proprietà cinese a Pordenone: l’ipotesi di reato è violazione dell’embargo all’Iran. Non sembra il primo caso di tecnologie “dual use” nel triangolo Cina-Italia-Iran

Potremmo ritrovarci nuovamente davanti a un caso di vendita di prodotti dual use tra l’Iran e l’Italia.

La Guardia di finanza di Pordenone ha perquisito un’azienda insediata nella zona della Comina, a San Quirino (Pordenone), operante nel campo della componentistica per aerei, elicotteri e droni. Il provvedimento – emesso dal sostituto procuratore Carmelo Barbaro – ipotizza ipotesi di reato connesse alla vendita di prodotti dual use in Iran senza però le relative autorizzazioni rilasciate del governo italiano. Si tratta, ha rivelato Repubblica, della Alpi Aviation srl, che progetta e vende materiali di armamento ed è fornitrice ufficiale delle Forze armate italiane e di Leonardo.

Sotto la lente, continua il quotidiano di Largo Fochetti, “la natura delle operazioni commerciali intrattenute quantomeno negli ultimi tre anni con la Repubblica islamica”. Sono stati emessi quattro avvisi di garanzia ad altrettanti cittadini italiani. Ma c’è di più: “Anche perché, sullo sfondo, c’è un assetto societario che di trasparente pare avere assai poco.Anche perché, sullo sfondo, c’è un assetto societario che di trasparente pare avere assai poco”, scrive ancora Repubblica.

Infatti, la società perquisita su disposizione della Procura, fondata da imprenditori friulani, dal 2018 è di proprietà di un gruppo di Hong Kong, che ne rilevò il 75%, investendo 2,810 milioni. Il subentro del socio cinese non sarebbe noto negli ambienti imprenditoriali locali, convinti che la proprietà fosse ancora italiana. L’assemblea dei soci – alcuni sarebbero indagati – ha di recente nominato nuovi amministratori che risiedono in Cina, affiancando loro una figura di prestigio, un ex ufficiale dell’Aeronautica con incarichi di vertice anche nelle Frecce tricolori, ma che non sarebbe coinvolto nell’inchiesta delle Fiamme Gialle. Si tratta dell’ex comandante delle Frecce Tricolori e poi dirigente della Ferrari, Massimo Tammaro.

Gli investigatori hanno definito un aspetto dell’inchiesta “inverosimile”. Dalla sua fondazione nel 2000, la società utilizzerebbe abusivamente, per le proprie attività aviatorie, la vicina aviosuperficie “La Comina”, riporta sempre Repubblica. Si tratta di un’area che appartiene per buona parte al demanio militare (e data in gestione alla Brigata corazzata “Ariete”), e, per la restante porzione, al Comune di Pordenone. La Alpi Aviation, in altre parole, “avrebbe operato in uno spazio aereo sottoposto a particolari limitazioni, trattandosi di pista riservata quasi interamente a voli militari in Italia e data la vicina presenza della base Usaf di Aviano”, riporta il giornale. E lo avrebbe fatto grazie alla “schermatura” garantitale da una onlus pordenonese, gestore dell’aviosuperficie, fittiziamente operante in attività di Protezione civile, si legge ancora.

La società “esclude di aver venduto prodotti dual use in Iran e potrà dimostrare di essersi sempre attenuta alle disposizioni di legge nei suoi rapporti commerciali”, si legge in una notta. Nella stessa, l’azienda – che si spinge ad esprimere “un giudizio negativo sull’evidenza mediatica” data all’indagine – si dice “convinta” che emergerà la sua “correttezza” anche per quanto si ipotizza in merito all’utilizzo dell’aviosuperficie. Inoltre, “quanto ai timori che si sono espressi per l’acquisizione del controllo della società da parte di un gruppo che ha sede ad Hong Kong Alpi Aviation osserva che uno degli obiettivi primari per far crescere il nostro Paese è quello di riuscire ad attrarre investimenti dall’estero e che l’interesse dimostrato per Alpi Aviation ha premiato le capacità e la tecnologia che i nostri imprenditori sanno esprimere.”

La faccenda ha comunque colpito gli imprenditori locali. “Da sempre sostengo la necessità di un’attenta vigilanza sull’acquisizione di aziende strategiche che, indipendentemente dalla dimensione, possono finire in mani cinesi. Tanto più in un periodo come questo in cui la forte disponibilità finanziaria di una nazione come la Cina consente acquisizioni anche in condizioni di grande favore da parte dell’acquirente”, ha dichiarato all’Ansa il presidente di Confindustria Alto Adriatico, Michelangelo Agrusti, in relazione all’inchiesta. “Il problema è ancora più rilevante quando si tratta di aziende che hanno a che fare con strutture sensibili per la sicurezza del Paese”, ha aggiunto. “Mi sono battuto, a suo tempo, contro l’acquisizione da parte dei cinesi dell’area logistica del Porto di Trieste. Come Sistema esercitiamo un’azione non facile di monitoraggio su un fenomeno che nel nostro Paese sta assumendo dimensioni allarmanti”, ha concluso auspicando che l’azienda in questione, “peraltro inopinatamente passata in mani cinesi, possa dare adeguate spiegazioni e chiarimenti circa il suo eventuale coinvolgimento in forniture tecnologiche coperte da embargo internazionale”.

Recentemente, gli interrogativi sul dual use sono emersi attorno alla nave-traghetto costruita in Italia (anch’essa con ombre cinesi) nel 1992 e convertita in una nave da guerra dei Pasdaran iraniani armata con droni, elicotteri e missili da crociera. In quell’occasione, il deputato Antonio Zennaro (allora nel Misto e membro del Copasir, oggi nella Lega) aveva depositato un’interrogazione a risposta scritta per sapere se “il governo è in grado di confermare che questa nave di fabbricazione italiana effettivamente sia entrata a far parte della Marina militare iraniana”. Inoltre, l’onorevole chiedeva al governo “di verificare eventualmente se ci siano state operazione di triangolazione commerciale volte ad eseguire attività di elusione delle sanzioni internazionali che vietano questo tipo di compravendite classificate come dual-use”. Interrogazione che risultato ancora “in corso” con delegato a rispondere (in data 2 dicembre 2020) il ministro degli Esteri.

L’Italia, come ricordavamo già alcune settimane fa su Formiche.net, è Paese al centro di traffici internazionali (e illegali) di armi e droga ma anche di reti di spionaggio. Basti pensare a quanto accaduto nel 2017, quando furono fermate dalla polizia tributaria della Guardia di finanza di Venezia, su ordine della Dda di Napoli, quattro persone indiziate di traffico internazionale di armi e di materiale dual-use, di produzione straniera. Si trattava di tre italiani e un libico accusati di aver introdotto, tra il 2011 e il 2015, in Paesi soggetti a embargo, quali Iran e Libia, in mancanza delle necessarie autorizzazioni ministeriali, elicotteri, fucili di assalto e missili terra aria. Tra loro italiani una coppia di coniugi di San Giorgio a Cremano: Mario Di Leva, convertito all’Islam con il nome di Jaafar, e Annamaria Fontana, ex assessore del comune. Agli atti dell’inchiesta finì anche una foto della coppia in compagnia dell’ex premier iraniano Mahmoud Ahmadinejad.



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