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Battaglia navale, così la Russia ingolfa il Mediterraneo

Esercitazioni Nato, svariate unità russe. Interessi strategici, commerciali ed energetici dietro alla battaglia navale per il Mediterraneo

La Russia ha almeno una dozzina di mezzi navali militari nel Mediterraneo, raccolti soprattutto nelle acque sensibili orientali che vanno da Creta alla costa del Levante — dove a Tartus, in Siria, Mosca ha implementato negli ultimi sei anni una base militare sfruttando l’intervento in difesa del regime assadista.

Questo schieramento racconta meglio di qualsiasi altra considerazione la volontà russa di essere presente nel Mare Nostrum, soprattutto se si considera lo presenza a tendenza permanente nella Cirenaica (dove sta sfruttando le basi aere di Al Jufra e quella navale di Bengasi attraverso il ruolo giocato dai contractor del Wagner Group).

Tutto mentre pianifica l’allargamento al segmento meridionale in cui il bacino si allunga verso l’Indiano, piazzando una base a Port Sudan, lungo il lineamento talassocratico del Mar Rosso, davanti a un porto (Yanbu, in Arabia Saudita) che gli Stati Uniti intendono implementare come base della Quinta flotta che opera sotto gli ordini del CentCom.

Nei giorni scorsi, mentre le unità americane si esercitavano nel Mediterraneo, i russi hanno fatto rientrare un sottomarino dal Baltico, il “Rostov sul Don”, e hanno fatto prendere il largo a tutte le unità sottomarine del Mar Nero – qualcosa di mai successo, come ha commentato il comandante Anatoly Varochkin. Contemporaneamente unità aeree britanniche partite dalla base cipriota di Akrotiri hanno segnalato di aver subito un jamming, un attacco informatico ai danni dei sistemi di volo, e accusato la Russia per quanto accaduto (attività rischiosa per quanto comprensibile, per evitare il monitoraggio dall’alto).

Mosca aumenta la presenza navale nell’East Med, diventato teatro di dinamiche geopolitiche che coinvolgono diversi Paesi: dalle annose contese territoriali tra Grecia, Cipro e Turchia, alle scoperte energetiche nei reservoir off-shore di Egitto, Israele e Cipro (tra i quali Eni è protagonista), fino ai nuovi collegamenti infrastrutturali con il Golfo (nuovi oleodotti, reti elettriche, e cavi sottomarini).

Allo stesso modo, anche gli Stati Uniti e la Nato stanno concentrando l’attenzione nel Mediterraneo (in particolare a Est), con la US Navy che sta valorizzando sempre di più la base di Souda Bay, Creta, dove in questi giorni si trova ferma la Ike, la “USS Eisenhower” che ha partecipato a manovre congiunte con gli alleati. Oppure con l’esercitazione congiunta Nato lungo la fascia balcanica (iniziata nei giorni scorsi, finirà a giugno), o ancora con le altre manovre di giorni scorsi nelle porzioni centrali del bacino. E volendo perfino quelle ancora più a sud, fuori dal Mar Rosso, nella Penisola arabica, a tutti gli effetti prolungamento geografico/geomorfologico del confine sudorientale del bacino mediterraneo, dove nel Golfo dell’Oman, si esercitano con la francese “Charles de Gaulle” unità belghe, americane e giapponesi.

Per la Russia la presenza nel Mediterraneo è una necessità strategica, proiezione verso l’Europa del sud e verso l’Africa e il Medio Oriente. La Marina russa ha già dimostrato anni fa che il dispiegamento marittimo può avere un valore geopolitico, quando per esempio ha usato i mezzi nel Mediterraneo, nel Mar Nero e nel Mar Caspio per bombardare in Siria. Evento raccontato dalle fanfare del Cremlino come un esempio delle capacità operative russe e dell’impegno nel combattere il terrorismo (temi anche a uso interno, ma utili per sostenere un prestigio internazionale che non è più quello di un tempo, anche a causa della perdurante crisi economica).

Quattro anni fa, il Mediterraneo fu il teatro di un altro dispiegamento geopolitico: quello della portaerei “Ammiraglio Kuznetsov”. È l’unica in servizio e attualmente è ferma da tempo per il rifacimento del ponte; il suo viaggio verso sud fu disastroso (due aerei persi, caduti dal ponte in fase di rientro); tuttavia quella fu una missione di diplomazia militare con cui Mosca segnò uno step up narrativo nell’impegno siriano. E al ritorno si fermò davanti a Bengasi, ospitando a bordo il capo dei ribelli libici dell’Est e segnando da lì l’inizio formale di una cooperazione ancora in piedi.

(Foto: Russian MoD picture)

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