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Se Egitto e Turchia si riconciliano. Parla Dentice (CeSi)

Secondo Giuseppe Dentice (CeSI) Egitto e Turchia possono trovare spazi di relazioni in alcuni dossier, come quelli che riguardano il Mediterraneo, mentre più a sud (Nilo, Mar Rosso, Corno d’Africa) rimarranno divisioni

“Sta iniziando una nuova era nelle relazioni con l’Egitto. Sono in corso di preparazione visite reciproche” ha dichiarato il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, parlando su Haber Turk – e la Bloomberg ha un’informazione in più: ci sarà un vertice i primi di maggio. La dichiarazione è il culmine (pubblico, esplicito) di una serie di segnali di apertura verso una distensione delle relazioni turco-egiziane. Paesi che vivono rapporti tesi dalla deposizione nel 2013 dell’allora presidente, Mohamed Morsi – legato alla Fratellanza musulmana – e la salita al potere di Abdel Fatah al Sisi.

Tra queste distensioni, dopo aver fornito asilo a diversi esponenti egiziani dei Fratelli musulmani, la decisione con cui a inizio aprile il governo turco ha bloccato dalla trasmissione televisiva programmi vicini al movimento panarabo islamista e nettamente ostili all’Egitto. Poi, per restare sui fatti recenti, la telefonata di Cavusoglu all’omologo egiziano, Sameh Shoukry, per uno “scambio di auguri in vista del sacro mese del Ramadan”.

Secondo Giuseppe Dentice, Head del Mena Desk del CeSI, quello che vediamo adesso parte dal summit di riconciliazione di Al Ula, in cui si è deciso per la fine dell’isolamento diplomatico del Qatar da parte degli altri paesi del Golfo e dell’Egitto, un passaggio che ha avuto ricadute macro-regionali, se si considera che Doha e Ankara sono in allineamento – telefonata simile a quella di Cavusoglu e Shoukry c’è stata anche tra l’emiro qatarino e il presidente egiziano.

“Questo tipo di azioni distensive – spiega Dentice – hanno senso tattico e centrato sul Mediterraneo. Entrambi i Paesi hanno condizioni economiche tutt’altro che buone, e questo si ripercuote sull’opinione pubblica che, sfibrata, pressa il potere. A sua volta, questa mossa ha riflessi sulla politica estera: prendiamo la Libia, dossier dove sia Egitto sia Turchia sono stati attivi sui due fronti in conflitto, ma dove adesso si cercano compromessi perché l’impegno ha costi insostenibili sotto tutti i punti di vista”.

Per l’esperto del CeSI, quei compromessi si allargano anche all’area mediterranea, ricadendo ad esempio sulle diatribe a proposito dei confini marittimi, dove le questioni più tecniche diventano diplomazia e relazioni. Ambiti in cui si manifesta la convergenza tattica tra Ankara e Cairo, differentemente dalle zone più a sud: Sudan, Mar Rosso, Nilo, Corno d’Africa.

“L’area più a sud è complessa, gli interessi di Turchia e Egitto si sovrappongono, e la penetrazione marittima nel Mar Rosso (corridoio talassocratico che collega il Mediterraneo all’Indo-Pacifico, ndr), è un nodo cruciale per la profondità strategica turca, ma anche per l’interesse nazionale egiziano”, aggiunge Dentice.

La Turchia in quell’area si muove da potenza, è arrivata nella regione prima di molti altri attori, e vuole conservare il ruolo centrale attraverso cui è riuscita in parte a sviluppare il cosiddetto “Ankara Consensus” – di cui su queste colonne parlava anche Federico Donelli (UniGenova/Ca’ Foscari).

In tutti quei dossier, la Turchia è su fronti opposti a quello dell’interesse egiziano: prendiamo per esempio la questione nevralgica del Nilo e dello sfruttamento delle sue acque. Per Il Cairo è impensabile che l’Etiopia dia seguito al progetto della diga Gerd, lo considera un vulnus insostenibile; Ankara è invece partner di Addis Abeba (per dire, quest’estate, durante una fase di frizione delle questioni attorno all’infrastruttura, Cavusoglu era nella capitale etiope a mostrare vicinanza ai locali).

“La Turchia trova in Etiopia una sponda necessaria per le relazioni con la Somalia, centro della presenza nel Corno d’Africa; e allo stesso tempo ha rapporti con la società civile sudanese che è sul lato opposto dei militari, che invece sono più vicini al Golfo e all’Egitto”, spiega Dentice. Dossier critici, fronti opposti, interessi profondi.

Sostanzialmente, i “problemi tra Egitto e Turchia si possono acquietare nel Mediterraneo – continua l’esperto – perché ci sono interessi in comune, e inoltre c’è anche un quadro internazionale, spinto da Washington, (su Formiche.net lo abbiamo più volte definito “Effetto Biden”, ndr) che non vede più Erdogan troppo positivamente. Altrove le divisioni sono destinate a restare”.

La distensione sul Mediterraneo arriva anche mentre Ankara ha spostato più verso oriente le attenzioni che fino a qualche mese fa centrava sul bacino. La Turchia si è attivata in Ucraina, condurrà i negoziati di pace per l’Afghanistan, si sta consolidando nel Caucaso. Tutti teatri dove i turchi possono giocare una partita più attiva, che non scombussola troppo gli equilibri richiesti dalla Casa Bianca – anzi, Washington vede certe azioni come interposizione agli interessi di Cina, Russia e Iran. All’opposto la Casa Bianca non vuole correre il rischio di destabilizzazione nel Mediterraneo dove tutti i Paesi dell’area sono suoi partner.

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