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Ecco la nuova strategia di Huawei e Zte in Italia. Da lupi guerrieri a volto umano

Le aziende cinesi non sono fuori dai giochi per la transizione digitale e il 5G. Nonostante la stretta del governo Draghi, l’Italia resta un mercato sensibile per Pechino. Che cambia la sua comunicazione. Ecco come

Anche con Mario Draghi al governo e nonostante i suoi molti paletti sul 5G e sui settori strategici, le aziende cinesi Huawei e Zte non sembrano intenzionate ad abbandonare il mercato italiano.

Due anni fa il Copasir aveva invitato l’esecutivo a valutare la possibilità di “escludere le predette aziende dalla attività di fornitura di tecnologia per le reti 5G”. Da allora, sul 5G, i governi che si sono alternati si sono mossi a suon di prescrizioni (e con un veto) per mettere al sicuro l’infrastruttura e le comunicazioni dai cosiddetti fornitori ad alto rischio. In queste settimane verrà essere completato, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’ultimo decreto del presidente del Consiglio dei ministri, il Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica. Si regge su tre pilastri, di cui uno è lo scrutinio tecnologico che sarà attivo entro il 30 giugno 2022, come ha spiegato qualche settimana fa Roberto Baldoni, direttore dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, a Formiche.net.

Le uscite pubbliche più recenti di entrambe le aziende sembrano confermare quanto evidenziavamo alla fine dell’anno scorso su queste pagine: che il 2021 sarebbe stato un anno meno da “lupi guerrieri” sia per Huawei sia per Zte. Entrambe parlano poco di 5G, preferiscono comunicare altri temi. Sembrano lontani i tempi in cui Luigi De Vecchis, presidente del ramo italiano di Huawei (che nel frattempo ha cambiato amministratore delegato), tuonava contro le “discriminazioni” subite in Italia sulla base di prove che (probabilmente si riferiva all’etichetta di “fornitore ad alto rischio”) “non esistono” – eppure era soltanto un anno fa. E in cui, era l’estate dell’anno scorso, Hu Kun, presidente Europa occidentale di Zte, tirava per la giacchetta il governo di allora, quello giallorosso guidato da Giuseppe Conte, dichiarando all’HuffPost: “Negli ultimi anni, ho visto i grandi sforzi del governo italiano per eliminare i vari ostacoli al dispiegamento delle antenne 5G, e anche gli sforzi per promuovere un ecosistema”.

Tra le ultime iniziative di Huawei c’è un progetto con Wwf Italia per il monitoraggio e la tutela ambientale sviluppato nelle riserve di Astroni, Burano e Orbetello. Tra quelle di Zte, invece, figura il sostegno all’iniziativa di Appassionante contro la violenza sulle donne. Ad aprire la conferenza stampa di Zte lo scorso 25 novembre, in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, la senatrice Annamaria Parente di Italia Viva, presidente della commissione Sanità. Il giorno prima il presidente Hu Ken aveva partecipato a un convegno del Centro Studi Internazionali dal titolo “Investimenti esteri e internazionalizzazione: una strategia per l’Italia” assieme a Bruno Tabacci, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Marco Elio Rottigni, responsabile della divisione International subsidiary banks di Intesa Sanpaolo, e Adolfo Urso, senatore e presidente del Copasir.

Allo stesso modo, anche la diplomazia cinese in Italia, ha smorzato i toni. Sempre un anno fa, l’ambasciatore Li Junhua indossava (e non era la prima volta) i panni del “lupo guerriero” per intervenire così su aspetti che riguardavano due aziende cinesi che si sono sempre proclamate indipendenti dal governo di Pechino: “Rigettiamo gli attacchi su 5G, che non può essere politicizzato, non ci sono prove dell’insicurezza né backdoor”. Più di recente, Liu Kan, nuovo console cinese a Milano, ha dichiarato a MF-Milano Finanza che le aziende cinesi sono “disposte a prendere parte attivamente al Piano nazionale di rilancio dell’Italia, esplorando opportunità di cooperazione nei settori della sostenibilità, del digitale e della sanità, con la volontà di promuovere vantaggi reciproci e risultati win-win”. Settori critici sia per la loro rilevanza nel Piano, sia per la loro importanza nella transizione ecologica e digitale, sia per la mole di dati sensibili che contengono e che potrebbero riaccendere le preoccupazioni già emerse sul ruolo delle aziende cinesi – Huawei e Zte – nel 5G, notavamo su Formiche.net.

Ecco cosa scrivevamo a tal proposito – era settembre ma è ancora attuale.

Questo presunto win-win, cavallo di battaglia della diplomazia di Pechino per sostenere che gli investimenti cinesi portano benefici a entrambe le parti, è visto con sospetto da molti. Per esempio dal Copasir, che nelle sue recenti audizioni ha acceso un riflettore sull’utilizzo dei fondi del Pnrr (e sulla vicenda Alpi Aviation). E anche dagli Stati Uniti. Basti pensare che a fine giugno, nel corso della sua prima visita in Italia, il segretario di Stato americano Antony Blinken aveva dichiarato a Repubblica che “è molto importante che quando arrivano investimenti da altri Paesi si effettuino i controlli necessari sulla loro origine. Soprattutto tenendo presenti le esigenze della sicurezza nazionale, dell’Italia come di altri Paesi”.

“Il rischio, ben chiaro agli americani come agli europei, è che parte delle centinaia di miliardi di euro del Recovery vadano a finire in Cina, piuttosto che alle aziende europee”, notava nella stessa occasione il Corriere della Sera. La partita italiana è la più ghiotta d’Europa, con il Piano nazionale di ripresa e resilienza che prende 47,5 miliardi di euro per la transizione digitale.

Tra loro le due aziende cinesi sottolineano le differenze: “Zte è un’azienda assolutamente trasparente, siamo quotati sia alla borsa di Hong Kong che a quella di Shenzhen e rendiamo la nostra azienda conforme a qualsiasi codice internazionale”, aveva dichiarato Hu Kun all’HuffPost. Ma in questa fase entrambe sembrano avere una priorità: abbandonare definitivamente gli abiti dei “lupi guerrieri” per non rimanere tagliate fuori dalla multimiliardaria transizione digitale che l’Italia non può più rinviare. 


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