Intervista ad Alfonso Celotto, costituzionalista e presidente di Aeroporti 2030, che raggruppa gli scali di Roma Fiumicino e Ciampino, Venezia, Treviso, Verona e Brescia: “Stop alla pandemia normativa e regolatoria che affligge il settore da inizio emergenza. Ora serve un approccio uniforme tra i Paesi sulle limitazioni di viaggio”
Fare presto e fare bene, l’Italia non può permettersi di essere tagliata fuori dalla ripartenza dei flussi turistici globali che si profila all’orizzonte. A maggior ragione in questa fase nella quale il Paese comincia a vedere davvero la luce in fondo al tunnel dell’emergenza, come è stato confermato dalle più recenti posizioni espresse dal mondo delle istituzioni e della sanità.
E’ un messaggio che non lascia spazio a dubbi o interpretazioni quello lanciato in questa intervista da Alfonso Celotto, professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università Roma Tre e presidente di Aeroporti 2030, l’associazione nata lo scorso anno che raggruppa gli scali di Roma Fiumicino e Roma Ciampino, Venezia, Treviso, Verona e Brescia.
“Il settore ha urgente bisogno di regole chiare e semplici: ne va della ripresa della nostra economia considerato che il turismo rappresenta il 13% del prodotto interno lordo italiano”, ha affermato ancora Celotto, che ha subito ricordato come i giochi per la programmazione dei voli della prossima estate si stiano chiudendo adesso: “Se vogliamo che la prossima estate sia all’altezza delle potenzialità e delle aspettative del Paese, dobbiamo muoverci subito. Non c’è più tempo”. E ancora, per non correre il rischio che il messaggio possa essere frainteso: “Stop alla pandemia normativa e regolatoria che affligge il settore da inizio emergenza”.
Professore, partiamo dall’inizio. Qual è stato l’impatto delle restrizioni di viaggio introdotte in Italia a seguito della variante Omicron?
Secondo il recente studio condotto da Oxera, per conto di Aci Europe e Iata – che rappresentano rispettivamente le associazioni europee dei gestori aeroportuali e delle compagnie aeree – le restrizioni di viaggio non hanno prodotto i risultati sperati. Il contagio non è stato contenuto, mentre è stata fortemente aggravata la situazione del comparto aeroportuale, in assoluto tra i più penalizzati dall’inizio della pandemia.
Celotto, l’associazione che lei presiede include anche i due scali romani e il gruppo Save con Venezia, che rappresentano ben oltre il 50% del traffico intercontinentale italiano. Ecco, dal vostro punto di vista cosa stiamo rischiando?
Semplice, di essere esclusi dalla ripartenza dei grandi flussi turistici mondiali ormai alle porte. Dobbiamo intervenire già da ora, altrimenti il turismo globale si organizzerà per andare altrove, ad esempio in Spagna o in Grecia, dove la burocrazia è molto meno complessa. Insomma, di auto-infliggerci un danno clamoroso.
Ma cosa occorre fare dunque?
Sburocratizzare e rendere le regole finalmente certe e stabili. E poi ci vuole coerenza con la fase che stiamo vivendo e con le esigenze complessive del Paese.
Quindi bisogna semplificare, ma anche agire velocissimamente. Giusto?
Esattamente, il tempo non costituisce affatto una variabile indifferente. Anzi, mai come questa volta è fondamentale.
E poi?
C’è un evidente tema di competenze: troppo spesso non si capisce chi debba fare che cosa e questo inevitabilmente rende tutto più complesso, sia per il mondo produttivo che per le stesse pubbliche amministrazioni.
Ad esempio a cosa si dovrebbe lavorare in concreto?
All’introduzione di una clausola di reciprocità in linea con quanto previsto dal Diritto internazionale: è il momento di uniformare l’approccio dei paesi rispetto alle limitazioni di viaggio e di adottare un approccio che tenga conto solo dello status vaccinale dei passeggeri e non della loro provenienza geografica.
I limiti italiani sono troppo gravosi?
I non addetti ai lavori non se ne rendono neppure conto: in pochi sanno quanto ancora sia lunga la lista dei paesi che l’Italia sottopone a restrizioni tali da impedire, in pratica, di muoversi per turismo.
Cioè?
Penso a tutti i paesi indicati nel cosiddetto elenco E, a proposito di burocrazia imperante, che comprende, tra gli altri, Albania, Cina, Brasile, Colombia, Cuba, Egitto Filippine, Giordania, Marocco, Turchia e Russia. Da tutti questi stati l’ingresso in Italia è consentito solo per specifiche motivazioni come ragioni di lavoro, salute oppure studio.
Da questo punto di vista da dove bisognerebbe cominciare?
Innanzitutto dai nostri partner dell’Unione europea con i quali è incredibile pensare che ancora non vi sia tale clausola. E poi ovviamente anche quelli extra Ue, a partire, com’è naturale che sia, dai più importanti: Stati Uniti, Cina, Russia, India, Giappone, Arabia Saudita, solo per citare alcuni dei principali.
Pensa davvero che questo obiettivo si possa raggiungere?
E’ chiaro che non si tratti di un traguardo facile da tagliare nell’immediato ma è a quella direzione che dobbiamo tendere. A cominciare, come dicevo, dall’Europa. Vanno chiarite le condizioni di reciprocità sull’applicazione delle regole.
In questo senso come procede il confronto con il governo?
L’interlocuzione è continua, non solo con la presidenza del Consiglio ma anche con i ministeri competenti. Speriamo di arrivare al risultato prima che sia troppo tardi.
In conclusione, Celotto, un commento sul presidente di Assaeroporti Carlo Borgomeo che, intervistato da Milano Finanza, ha detto di auspicare un vostro rientro. Cosa ne pensa?
Penso che valga la pena ricordare la storia d’amore tra Richard Burton e Liz Taylor: anche chi divorzia può tornare insieme e risposarsi ma a condizione, però, di lavorarci sodo e di non affrettare i tempi.
Però loro poi si lasciarono di nuovo. Come la mettiamo?
Appunto, per evitare che possa accadere lo stesso, occorre ponderare bene le scelte e soprattutto lavorare insieme, secondo uno spirito di autentica condivisione.