L’European raw materials alliance (Erma) ha pubblicato l’Action plan per le tecnologie di accumulo e conversione d’energia da fonti rinnovabili. Focus sull’industria della trasformazione, passaggio critico della filiera dalle miniere ai mercati. Ma anche riciclo e ricerca e sviluppo. E serve semplificare le procedure per restare competitivi
Sono i giorni del Raw Materials Summit 2023 a Bruxelles, iniziativa che riunisce i principali stakeholders europei (e non solo) dell’industria su cui si sta concentrando l’attenzione dei policymakers europei: quella delle materie prime critiche. Bernd Schaefer, ceo di EIT Raw Materials, ente finanziato dalla Commissione europea e a guida dell’European Raw Materials Alliance (Erma) che coinvolge più di 300 enti tra aziende, enti accademici e società civile del settore, ha infatti dichiarato che la domanda di materiali critici al 2030 non sarà semplice da incontrare per l’Europa. “Uno dei temi chiave – ha affermato – è quello di accelerare gli investimenti e mobilitare i capitali per i progetti minerari, oltre ai permessi. Questo dovrà accadere nel più breve tempo possibile in modo da avere una possibilità per rispettare quei numeri”.
I target fissati dalla Commissione, per supportare le ambizioni del Green Deal Industrial Plan (Gdpi) e del Net Zero Industry Act, prevedono, con l’implementazione del Critical Raw Materials Act, alcuni benchmark per assicurare una maggiore autonomia strategica sulle forniture entro il 2030: almeno il 10% del consumo europeo da miniere domestiche; 40% delle attività di raffinazione; 15% dal riciclo; e non più del 65% degli approvvigionamenti per le industrie manifatturiere da un singolo paese fornitore.
Obiettivi ambiziosi, che richiederanno investimenti lungo tutta la supply chain per materiali come litio, cobalto, nickel, terre rare, rame e grafite. Elementi che, secondo l’ultima analisi del Joint Research Center che ha accompagnato la pubblicazione del CRMs Act, sono da considerarsi ‘strategici’ e non solo ‘critici’ per gli obiettivi di decarbonizzazione dell’Ue e per la competitività delle industrie quali batterie, motori elettrici, semiconduttori, pannelli fotovoltaici e turbine.
Secondo il piano REPowerEU, l’Unione ambisce ad aumentare la quota di rinnovabili per la generazione di energia elettrica, in un chiaro tentativo di svincolarsi dalle fonti fossili (e nello specifico, dal gas russo) e diversificando maggiormente il sistema elettrico continentale. L’aumento del target dal 40% (proposta nell’ambito del pacchetto Fit-for-55) al 42,5% determinerebbe al 2030 un incremento della capacità di generazione elettrica da rinnovabili a livello europeo dagli attuali 1067 GW a 1236, con l’installazione di più di 320 GW di solare fotovoltaico entro il 2025, il doppio del livello attuale, e 600 GW entro il 2030. Per raggiungere gli obiettivi del piano (comprensivi di diversificazione degli approvvigionamenti di gas, e relative infrastrutture, efficientamento etc.), secondo le stime della Commissione saranno necessari ulteriori investimenti calcolati nell’ordine di 210 miliardi entro il 2027.
In generale, a supporto di queste iniziative – specialmente quelle per spingere l’adozione di tecnologie low-carbon, l’integrazione alle reti di accumuli per la gestione dell’intermittenza delle rinnovabili e l’adeguamento infrastrutturale – l’Ue dovrà garantire l’accesso sicuro, sostenibile e competitivo alle proprie industrie delle materie prime necessarie a coprire la domanda europea. Ed è in questa direzione che dovranno concentrarsi gli investimenti, se l’obiettivo vorrà essere quello di ridurre la dipendenza dall’estero: nel 2022, il 79% del litio importato proveniva dal Cile, il 63% del cobalto, il 40% del palladio dalla Russia, il 98% delle terre rare (seppur la carenza di manifattura downstream sul continente, come ricordato dall’Action Plan sui magneti di ERMA del 2021, rende questa dipendenza, ad oggi, relativamente trascurabile dal momento che è in Cina che avviene il consumo dei materiali), il 40% della grafite naturale e il 97% del magnesio. Ed è proprio sui battery metals che si è concentrato il lavoro di ERMA e di EIT, che hanno pubblicato l’Action Plan per le tecnologie di accumulo e conversione dell’energia. L’analisi, che ha coinvolto oltre 100 stakeholder tra industria, settore pubblico, ricerca, accademia e società civile, affronta le questioni più urgenti e importanti per l’approvvigionamento europeo, oltre a delineare azioni concrete e pragmatiche che possano accompagnare gli ambiziosi obiettivi europei in tema di transizione energetica nel mutato contesto geopolitico.
L’adozione di tecnologie rinnovabili come solare, eolico e celle al combustibile (vettore idrogeno) richiederà l’integrazione di batterie e accumuli, aumentando la domanda europea delle relative materie prime. ERMA ha identificato, lungo la supply chain, 50 progetti d’investimento per un totale di 15 miliardi di euro. Se portati a compimento e sul mercato, questi nuovi siti industriali e minerari potrebbero garantire una buona fetta del consumo europeo entro il 2030, e in certi casi andare ben oltre i target fissati con il CRMs Act.
La mancanza di strutture di riciclo, di un’industria di trasformazione competitiva (soprattutto nel contesto degli alti costi energetici), di linee di finanziamento rapido e di processi autorizzativi efficienti rischiano di lasciare l’Europa troppo dipendente da fornitori non affidabili, come Russia e Cina. La diversificazione, inoltre, incontrerà sempre più ostacoli sui mercati globali, con altri attori (come USA, Corea e Giappone) intenti ad assicurare la propria sicurezza lungo le filiere. Le partnership con paesi ricchi di risorse sono infatti un punto cardine della strategia della Commissione, che ha avviato e portato avanti accordi bilaterali di natura commerciale con Argentina, Australia, Cile, Congo, Namibia, Norvegia, Kazhakistan e Ucraina.
Secondo il documento, suddiviso in 4 macro aree – materiali per l’energia solare, per le batterie, per elettrolizzatori e celle al combustibile e infine per tecnologie di accumulo alternative – la guerra in Ucraina ha “aumentato il senso di urgenza per le forniture di materie prime richieste per la transizione gemella (digitale ed energetica, n.d)”, una situazione che potrebbe aggravarsi se la produzione mineraria in Europa dovesse dimezzarsi, inducendo l’industria di processazione (che è sempre di più considerata il vero collo di bottiglia del settore, come dimostrano gli investimenti degli OEMs come Tesla) a lavorare solo il 10% dei feedstock di origine europea, lasciando una vena scoperta per l’ecosistema industriale continentale.
Tra le iniziative chiave, Erma propone di investire sull’efficientamento dell’industria solare e fotovoltaica, puntando sul recupero di silicio, argento per il consumo europeo. Seppur la maggior parte della filiera sia controllata, e integrata, da industrie cinesi – 7 dei 10 maggiori produttori mondiali, che contano per il 90% della capacità globale, sono in Cina, con l’Ue che produce solo lo 0.6% delle celle fotovoltaiche al silicio secondo l’Iea – vi sono alcuni punti in cui l’Europa potrebbe far valere la sua competitività per recuperare terreno, a partire dalla produzione upstrem di lingotti e wafer di silicio (11% in Ue). L’European Solar Initiative punta ad avere 20 Gw di capacità manifatturiera di pannelli entro il 2025. Erma punta a 60 GW entro il 2030, con 100 mila tonnellate di silicio metallico che potrebbe essere recuperato dai 5 milioni di tonnellate di moduli che entreranno in disuso alla fine del decennio.
Un ecosistema chiuso, che punta sulla circolarità, aiuterebbe inoltre a veicolare gli investimenti in capacità di raffinazione dei battery metals (litio, nickel, cobalto e manganese) che avviene sostanzialmente in Cina. Sono soltanto 2, ad oggi, gli impianti attivi nella trasformazione dei minerali in metalli utilizzabili dai produttori di batterie sul suolo europeo. Le batterie agli ioni di litio rimarrà la tecnologia dominate almeno fino al 2030, con diverse composizioni chimiche per i catodi che si divideranno il mercato a seconda delle richieste delle industrie (automotive in primis).
Per gli accumuli domestici e industriali, la tecnologia catodica Nmc (che predilige un elevato consumo di nickel) è quella più utilizzata ad oggi. Gli investimenti di ERMA puntano ad assicurare che il 50% della domanda europea possa essere raggiunto con forniture domestiche entro il 2030, puntando anche sul potenziale riciclo di 25 GWh di batterie a fine vita. Gli investimenti in questa filiera saranno particolarmente strategici, considerando l’elevato consumo di materie prime di un’industria europea delle batterie, e il consorzio non esclude l’attivazione di un ente europeo che possa agire come il JOGMEC giapponese (agenzia a controllo statale che investe per conto delle industrie di punta nipponiche su approvvigionamenti energetici e di metalli non ferrosi). Un meccanismo che dovrebbe essere integrato e armonizzato con le singole iniziative nazionali, come quella messa in campo di recente dalla Francia.
Finanziamenti che puntino anche alla sostenibilità e alla trasparenza delle supply chain saranno un criterio chiave, in un’ottica di creare un livellamento con i competitor esteri che scelgono di fornire il mercato e le industrie europee. Simili iniziative, infine, verranno implementate anche per il terzo ambito, volte a ridurre i costi tramite sinergia tra industria e ricerca per i nuovi impianti di celle al combustibile e materiali e tecnologie alternative per l’accumulo di energia.
Resta da capire se i finanziamenti che verranno stanziati avranno gli effetti sistemici per la competitività del blocco europeo, e non solo dei singoli paesi in cui sono stati selezionati i progetti (come emerge dalla Figura 1). Il quadro normativo europeo sugli a supporto del GDIP – il Temporary Crisis and Transition Framework, o Tctf – risponde infatti alla triplice sfida posta dalla differente risposta degli Stati membri alla crisi energetica (con evidenti riflessi negativi sulla competitività delle industrie di raffinazione di metalli), dalla politica industriale degli Stati Uniti (via Inflation Reduction Act) e appunto la dipendenza da Cina, Russia e paesi asiatici (Indonesia in primis) per l’importazione di metalli.
Il problema sostanziale rimane la diversa potenza di fuoco tra Usa e Ue in termini di spesa – i secondi hanno stanziato fondi federali, mentre la Commissione non ha previsto un fondo comune europeo per i materiali critici (che rimane un’indiscrezione), ma sostanzialmente lasciato ai Paesi membri la decisione su quanto investire. Il quadro macroeconomico, dettato da prezzi energetici e inflazione, chiaramente detterà quanto i singoli paesi potranno investire di tasca propria sulle filiere e gli approvvigionamenti delle materie prime critiche per garantire sicurezza e competitività nelle industrie chiave (batterie, magneti, semiconduttori etc.).