La Commissione europea ha stretto un accordo con il Paese sudamericano per rafforzare la cooperazione su una filiera sostenibile per le materie prime critiche. Focus: l’ingrediente fondamentale per le batterie. Ma basterà per aggirare la Cina?
Nel contesto del Summit dei Paesi latinoamericani e caraibici (EU-CELAC) organizzato a Bruxelles il 17 e 18 luglio, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha incontrato il presidente cileno Gabriel Boric. I due leader hanno firmato un memorandum of understanding per mettere nero su bianco una collaborazione sul tema dell’approvvigionamento sostenibile delle materie prime critiche.
L’accordo si inscrive nella Global Gateway Strategy, la risposta europea alla Belt and Road Initiative cinese, e nel solco degli obiettivi dell’European Critical Raw Materials Act che ha previsto una serie di target al 2030, tra cui raggiungere il 10% della domanda di materiali critici da estrazione sul suolo europeo, 40% di raffinazione sul continente e 15% dal riciclo. Il è naturalmente il litio, elemento al centro della competizione serrata sulle batterie elettriche, seppur nel comunicato stampa non ve ne sia rimando. Alla firma erano presenti il commissario al Mercato interno Thierry Breton e il ministro degli Esteri cileno Alberto van Klaveren Storl. “Il Cile è uno dei principali produttori di materie prime critiche essenziali, tra cui il rame e il litio, che sono fondamentali per le transizioni verde e digitale dell’Europa e per preservare la sua competitività globale”, ha sottolineato Breton.
Sono cinque le aree di cooperazione: integrazione delle filiere sostenibili dei materiali (inclusi progetti congiunti, nuovi modelli di business, promozione e facilitazione di investimenti e commercio); cooperazione su ricerca e sviluppo, per esempio per migliorare la conoscenza delle risorse minerarie e per minimizzare le esternalità ambientali e climatiche; rafforzare l’adozione di criteri ESG; costruire le infrastrutture abilitanti per lo sviluppo dei progetti; implementazione di standard internazionali per i lavoratori nel settore. L’accordo, che prevede inoltre un fondo di 200 milioni di euro finanziato dall’European Investment Bank e gestito dall’agenzia statale per lo sviluppo del Cile sull’idrogeno rinnovabile, integra un nuovo accordo commerciale volto a rinnovare e aggiornare quello in vigore dal 2003, con le trattative concluse nel dicembre 2022.
Si tratta di un nuovo approccio della Commissione, volto a siglare partnership win-win con i Paesi ricchi di risorse. Prima del Cile, l’UE aveva stabilito altri accordi con Canada (giugno 2021), Ucraina (luglio 2021), Kazakhistan e Namibia (novembre 2022) e infine Argentina (giugno 2023). Una serie di iniziative che sono volte, in forma bilaterale e multilaterale, ad aggirare la presa della Cina su gran parte di queste filiere. L’accordo prevederebbe, inoltre, di favorire l’industria dell’estrazione e della raffinazione locale, in linea con il programma politico di Boric. Il Cile, Paese che ospita attività estrattive di litio nelle salamoie del deserto di Atacama, conta per il 34% dell’offerta globale, dietro all’Australia e davanti a Cina e Argentina con quest’ultima in rapida ascesa. Insieme alla Bolivia, la cui industria del litio è ancora molto acerba nonostante il Paese disponga delle più significative risorse di litio (recentemente, aggiornate a 23 milioni di tonnellate metriche), i tre Paese sudamericani ospitano più della metà delle riserve globali a oggi certificate dallo US Geological Survey. L’intesa politica tra Unione europea e Cile faciliterà l’accesso delle industrie europee alle riserve di litio cilene, seppur la competizione sia già molto serrata.
A livello globale, come riportato di recente dai report dell’International Energy Agency (IEA) e dell’International Renewable Energy Agency (IRENA), la domanda di litio aumenterà considerevolmente negli scenari di decarbonizzazione più stringenti. I Paesi sudamericani, insieme all’Australia, sono destinati a rimanere la principale fonte di produzione dell’oro bianco ben oltre il 2030, cementando l’attuale struttura oligopolistica dell’industria. Seppur sarà difficile e complesso l’emergere di un cartello industriale, la volontà dei Paesi produttori di strappare più valor aggiunto dalle risorse domestiche dovrà essere tenuta in considerazione dai Paesi importatori (soprattutto i Paesi Oecd) nella corsa all’approvvigionamento.
Il Cile conta per il 79% delle importazioni europee di litio secondo le stime della Commissione, seppur questo dato vada disaggregato rispetto alla tipologia del materiale: in Cile (e in particolare grazie agli impianti delle due uniche aziende che attualmente detengono le licenze per lo sfruttamento delle salamoie, ovvero SQM e l’americana Albemarle) viene prodotto soprattutto carbonato di litio una volta concluso il processo di evaporazione e trattamento dalle salamoie. Un materiale precursore per la fabbricazione dei catodi, che viene spedito principalmente in Asia: questo step della filiera è infatti attualmente dominato da Cina (82%), Corea e Giappone (16%). Sono infatti aziende asiatiche, in particolare quelle cinesi come Ganfeng e Tianqi e di recente CATL e la coreana Posco, ad aver investito direttamente nelle attività estrattive (spesso condotte da aziende non sudamericane, con l’unica eccezione di SQM e di poche altre) rispettivamente in Cile, Bolivia e Argentina per assicurarsi i feedstock necessari ad alimentare la catena del valore. Risorse che hanno di recente attirato l’attenzione dei giganti minerari e industriali russi.
A giugno, il gruppo minerario francese Eramet – controllato al 26% dallo Stato francese, che di recente ha annunciato un nuovo fondo sovrano per le materie prime – ha aperto una sede amministrativa nella capitale cilena: secondo le indiscrezioni la compagnia francese vorrebbe replicare quanto fatto in Argentina, ovvero un investimento da 800 milioni di dollari nel deposito di Centenario Ratones per la costruzione di un progetto d’estrazione di litio con una capacità di 24.000 tonnellate di carbonato di litio all’anno. Una cifra sufficiente a coprire la domanda di 500.000 veicoli elettrici. Eramet avrebbe infatti siglato alcuni accordi commerciali con produttori di batterie e automakers, posizionandosi dunque come fondamentale linea di congiunzione tra l’attività estrattiva e la produzione di precursori.
In conclusione, accordi quadro di questa tipologia, come quello firmato dai rappresentati Unione europea e Cile, sono essenziali per creare le condizioni di certezza (politica oltreché normativa) per facilitare gli investimenti e assicurare che i diversi stakeholder coinvolti possano beneficiarne. Tuttavia, considerando che le forniture vengono poi concretamente contrattate tra i diversi attori lungo la supply chain, sono la lungimiranza e gli investimenti dei privati a fare la differenza nella corsa alle batterie elettriche.