Bruxelles e Washington sono quasi pronte a creare un consorzio aperto per acciaio e alluminio sostenibili. Il “club” serve a superare la guerra dei dazi, favorire produzione e commercio green e svantaggiare chi produce inquinando e non gioca secondo le regole di mercato. Sullo sfondo la Cina, in parallelo un’indagine Ue sull’acciaio cinese, in sottotraccia il fronte comune dei Paesi like-minded
Chiudere definitivamente la diatriba sui dazi, favorire la decarbonizzazione delle economie, garantire il friend-shoring delle supply chain e affrontare le pratiche (cinesi) di distorsione del mercato. Sembra che Stati Uniti e Unione europea abbiano trovato un modo per coniugare queste quattro priorità attraverso un accordo su acciaio e alluminio. Il patto è in lavorazione da mesi e dovrebbe essere presentato già settimana prossima, il 20 ottobre, quando i presidenti di Commissione e Consiglio europei, Ursula von der Leyen e Charles Michel, incontreranno il leader statunitense Joe Biden a Washington.
La conferma arriva da un documento della Commissione visionato da Politico. Lì sembra esserci la risposta europea alla proposta statunitense di cui ha dato conto il New York Times mercoledì. I dettagli devono essere ancora finalizzati e le capitali europee stanno negoziando, ma il fulcro dell’accordo, come ampiamente previsto, è la costruzione di un consorzio commerciale condiviso. I Paesi che aderiranno a questo “club” per l’acciaio e l’alluminio dovranno adottare standard ambientali comuni per la produzione sostenibile, limiti ai sussidi statali e alla sovrapproduzione, e dazi agli Stati che viaggiano in senso opposto.
IL CONSORZIO PER L’ACCIAIO VERDE
Secondo i piani, questo Global Agreement on Sustainable Steel and Aluminum (detto anche Gassa o Gsa e già esplorato su queste colonne) sarà aperto a tutti gli Stati che vorranno parteciparvi. È pensato per favorire il commercio di acciaio e alluminio tra i suoi membri: i requisiti pareggiano il campo da gioco per gli aderenti e svantaggiano chi invece produce acciaio e alluminio in maniera più inquinante. Lo scopo è triplice: convincere quanti più Paesi possibili ad adottare pratiche ecologiche di produzione, proteggere chi già lo fa a fronte di un costo di produzione maggiore, e “punire” gli Stati non allineati con dazi: 25% per l’acciaio e 10% per l’alluminio importati dai non aderenti al consorzio.
Non è un caso che queste cifre riflettano esattamente i dazi che Donald Trump impose ai prodotti europei durante la sua guerra commerciale con l’Europa; a Washington i leader sigleranno un patto per scongiurare la re-introduzione di quei dazi, sospesi dall’amministrazione Biden. Nell’ottica di una convergenza sempre più ampia tra Usa e Ue, sullo sfondo delle evidenti pratiche non di mercato di Pechino, Washington e Bruxelles sono intenzionate a fare fronte comune contro la vera minaccia alla loro sicurezza economica: non è un caso nemmeno il fatto che i requisiti per aderire a Gassa rendano pressoché impossibile l’accesso al Dragone.
UNA QUESTIONE CINESE
Secondo i dati Ocse più della metà dell’acciaio grezzo al mondo arriva dalla Cina, che quest’anno – grazie anche alla debolezza della domanda interna e del deprezzamento dello yuan – continua ad aumentare le esportazioni. In tutto questo, la capacità siderurgica globale ha raggiunto livelli record ma è utilizzata solo al 75%. Dati che evocano lo spettro della sovrapproduzione e del dumping: c’è Pechino dietro un quarto dell’aumento di capacità globale e l’apertura di nuovi impianti anche in altre parti dell’Asia.
In quest’ottica, l’accordo Gassa risponde a un’esigenza comune di Usa e Ue: proteggere i propri produttori dalle pratiche non di mercato. Infatti a Washington i leader europei dovrebbero annunciare una nuova indagine sui settori cinesi dell’acciaio e dell’alluminio, per identificare pratiche di sovrapproduzione e apportare gli eventuali correttivi – attraverso il consorzio per l’acciaio verde. Un approccio che richiama da vicino l’indagine europea sulle auto elettriche cinesi, che a sua volta è collegata alle intenzioni Ue-Usa di stringere un accordo sui materiali critici, sulla falsariga di quello tra Usa e Giappone, per rimuovere le barriere al commercio di auto elettriche (e le loro componenti) e chiudere anche la diatriba sull’Inflation Reduction Act.
SE LA CO2 È GEOPOLITICA
La chiave comune è collaborare sulle catene di valore per renderle meno dipendenti da Pechino; sicurezza economica e competizione globale rimangono i fil rouge che attraversano gli sforzi occidentali. Dal canto suo, la Cina ha già dimostrato di non farsi scrupoli a usare il suo controllo sulle esportazioni di materiali come leva geopolitica. E mercoledì il Global Times, megafono internazionale del Partito comunista cinese, si è affrettata a minimizzare la prospettiva di un’indagine europea sull’acciaio cinese e il contributo di Pechino alla creazione di capacità siderurgica in eccesso. Il tutto condito con il solito mix di antiamericanismo e minacce di una guerra commerciale.
Effettivamente, la convergenza tra Ue e Usa su una serie crescente di dossier politico-economici è una prospettiva minacciosa per il Partito-Stato e la sua strategia divide et impera. Il dossier Gassa è strettamente correlato anche all’avvio di Cbam (la tassa europea sulle emissioni importate) e le forti perplessità di alleati e partner commerciali, tra cui Usa, India e Cina, che vorrebbero un approccio meno dirigistico alla decarbonizzazione. Ecco: il consorzio Gassa, già proposto dagli Usa come approccio alternativo a Cbam, può diventare un esempio di accordo internazionale tra Paesi like-minded e una traccia per consolidare il fronte delle economie di mercato contro chi non gioca ad armi pari. Nulla di più preoccupante per il gigante cinese.
BORRELL IN CINA
In tutto questo, giovedì Josep Borrell è atterrato a Pechino. L’Alto rappresentante Ue per la politica estera aveva spiegato a Politico gli obiettivi della missione diplomatica: invitare il partner cinese ad affrontare le diatribe con l’Ue, soprattutto in materia di commercio, e livellare il campo di gioco, visto che il deficit commerciale europeo è raddoppiato negli ultimi due anni. “La Cina è consapevole delle aree in cui percepiamo un trattamento iniquo nei confronti delle nostre imprese e in cui vediamo la recente legislazione nazionale come un deterrente per gli investitori. Ciò richiede maggiore trasparenza e reciprocità”, ha spiegato il funzionario europeo, sottolineando che le forti differenze politiche ed economiche tra Ue e Cina non sono certo un segreto: “La vera sfida che abbiamo davanti è come far funzionare al meglio le nostre relazioni e gestire le nostre differenze. [Noi] non ci sottraiamo dall’affrontarle”.