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Taiwan stringe sull’high-tech (tra cui i chip) verso la Cina

Il governo di Taiwan annuncerà entro la fine dell’anno una lista di tecnologie critiche da tutelare dalle mire cinesi, a partire naturalmente dai semiconduttori. L’obiettivo: salvaguardare la leadership tecnologica dell’isola, vero e proprio scudo e carta diplomatica. Rimane tuttavia l’ombra di Huawei…

Il National Science and Technological Council, agenzia governativa di Taiwan che ha, tra i suoi obiettivi, quello di promuovere lo sviluppo tecnologico del Paese, annuncerà entro la fine dell’anno una lista di tecnologie critiche da proteggere, e che probabilmente afferiranno ai settori dei semiconduttori, dell’agricoltura, dell’aerospazio e delle telecomunicazioni (Ict).

Lo riporta il Nikkei Asia, confermando da fonti ufficiali che la lista avrà tra i suoi obiettivi quello di tutelare e monitorare investimenti, capitale umano, operazioni e trasferimenti tecnologici in queste aree.

Si tratta di una mossa che si allinea con le preoccupazioni statunitensi ed europee, con la Commissione che ha di recente annunciato una lista di tecnologie ritenute critiche, tra cui chip, quantum computing, intelligenza artificiale e biotech, mentre Washingotn ha fatto trapelare a Pechino l’intenzione di inasprire ulteriormente la morsa sui chip, con nuove restrizioni che potrebbero entrare in vigore nelle prossime settimane. Ad agosto, il Presidente Biden aveva inoltre annunciato un ordine esecutivo per limitare gli investimenti americani nelle aziende high-tech cinesi nei settori più critici per l’interesse nazionale.

La sicurezza economica, dunque, è sempre più al centro del dibattito politico e delle iniziative dei governi occidentali e non, specialmente in settori tecnologici su cui la Repubblica Popolare Cinese mira per rafforzare la sua autonomia, considerando alcune esistenti vulnerabilità e gap che la pongono in una posizione di rincorsa.

“La nuova policy eleverà tecnologia critiche della catena di approvvigionamento dei semiconduttori al livello di sicurezza nazionale consentendo un controllo più attento”, ha specificato Wellington Kuo, segretario generale del Consiglio di Sicurezza Nazionale di Taiwan sulle pagine di Nikkei. “L’obiettivo è prevenire gli sforzi per acquisire tecnologie cruciali da parte della Cina, che sta puntando la progettazione di circuiti integrati a Taiwan”.

Secondo la Smart Taiwan 2030 Vision, sono sette le industrie strategiche chiave e al centro degli sforzi governativi per potenziare lo standing internazionale del Paese: le industrie del digitale e dell’informazione, l’industria della cybersicurezza, l’industria medica e biomedica, le industrie della difesa, le rinnovabili e le industrie per lo stoccaggio strategico.

È evidente che gli asset abilitanti per molti di questi settori, e che rappresenta la general purpose technology (GPT) per guadagni di scala su moltissimi settori dowstream sono i semiconduttori, industria in cui Taiwan è già al centro delle catene globali del valore e della competizione tra Stati Uniti e Cina. Dunque, è evidente che i chip saranno gli osservati speciali nella nuova policy che il governo taiwanese sia accinge a perfezionare.

In realtà, vi sono già delle basi legali solide per una stretta. L’anno scorso Taiwan ha emesso emendamenti alla Legge sulla Sicurezza Nazionale e alla Legge (il Cross-Strait Act) che regola le relazioni tra l’isola e la Cina continentale, imponendo pene più severe per lo spionaggio economico e il furto di tecnologia. La Commissione per gli investimenti ha anche rivisto il Regolamento per l’autorizzazione agli investimenti o alla cooperazione tecnologica nell’area continentale, imponendo alle imprese taiwanesi di ottenere l’approvazione se intendono vendere i loro beni locali, le loro fabbriche o trasferire le loro azioni in Cina per evitare il rischio di fuga di tecnologia.

Le relazioni con Pechino sono tuttavia inserite in un contesto commerciale ancora molto solido. La Cina è il principale partner sia per le importazioni che le esportazioni, con i circuiti integrati al centro degli interscambi: secondo l’International Trade Administration di Taiwan, la Repubblica Popolare Cinese ha importato oltre $29 miliardi di dollari di semiconduttori tra gennaio e agosto del 2023, per poi essere assemblati sul continente per conto delle grandi compagnie multinazionali. Un’integrazione che ha di recente spinto gli USA ad allentare le restrizioni per le esportazioni alle aziende taiwanesi e coreane.

Ma sono i gioielli della corona ad attirare l’attenzione della Cina, a partire dalle fonderie di chip, l’equipaggiamento per la manifattura e il preziosissimo know-how, gelosamente custodito da produttori del calibrod i Tsmc e Umc. Tuttavia, proprio per la difficoltà di appropriarsi di questi asset con la forza-l’ipotetica invasione militare spezzerebbe il delicato equilibrio su cui è costruito l’ecosistema di conoscenze, fornitori e materiali tra i produttori di chip taiwanesi e gli altri attori della filiera, tra cui le aziende di design statunitensi come Amd e Nvidia -è con altri sistemi, tra cui spionaggio industriale, attacchi cyber e cooptazione economica, che la Cina prova a penetrare lo scudo di silicio.

“Il fatto che le tecnologie di rilievo del paese siano esportate in Cina non è la sola area che stiamo monitorato da un punto di vista della sicurezza nazionale”, ha specificato Koo. “Stiamo lavorando per prevenire che i prodotto basatui sui chip siano utilizzati dalla Cina per scopi militari e legati alla difesa”.

Ed è qui che entra in gioco Huawei, gigante high-tech della Cina e principale esecutore del piano di Pechino di sfida all’egemonia tecnologica americana. Con il nuovo smartphone, l’azienda di Shenzhen ha rivelato al mondo progressi, in collaborazione con Semiconductor Manufacturing International Corporation (Smic), nella progettazione e fabbricazione di un microprocessore a 7 nanometri. Huawei avrebbe beneficiato di una rete di “fab” e impianti fantasma per portarsi svincolare dalle restrizioni del Bureau of Industry and Security del Dipartimento del Commercio statunitense. Resta ancora da capire a quali strumentazioni ed equipaggiamento Huawei avrebbe avuto accesso. Secondo la Semiconductor Industry Association (SIA), l’azienda cinese avrebbe preso possesso di almeno due impianti esistenti e starebbe costruendo almeno altri tre siti, con un budget previsto di $30 miliardi di spesa (con il sostegno, probabile, del governo cinese).

Secondo Bloomberg, il governo di Taiwan tramite il ministro per gli Affari Economici Wang-Mei verificherà se alcune aziende taiwanesi abbiano avuto qualche ruolo nella violazione delle sanzioni degli Usa, che prevengono l’utilizzo di equipaggiamento avanzato e tecnologia americana per la manifattura di chip avanzati. Le aziende sotto scrutinio includono il rivenditore di materiali per chip Topco Scientific Co, il fornitore di attrezzature per white room L&K Engineering Co, lo specialista di costruzioni United Integrated Services Co e il fornitore di sostanze chimiche Cica-Huntek Chemical Technology Taiwan Co. Il ministro Wang avrebbe rassicurato che le quattro aziende hanno aiutato Huawei con “attrezzature per la protezione delle acque reflue e dell’ambiente” per le sue fabbriche, e non con tecnologie sensibili che potrebbero avere un impatto sulla sicurezza nazionale, in chiara violazione delle US Foreign Direct Product Rules (Fdpr). Le aziende taiwanese avrebbero collaborato, secondo le ricostruzioni di Bloomberg, con tre piccole aziende fornitrici di Huawei, ovvero Pengxinwei IC Manufacturing Co., Pensun Technology e SwaySure Technology Co. Come riporta il Taipei Times, L&K Engineering e Cica-Huntek avrebbero dichiarato, tramite due comunicati stampa, che le relazioni con le aziende cinesi non avrebbero incluso la fornitura di tecnologie sensibili, se non rispettivamente attrezzature elettriche e prodotti chimici.

Le nuove policy che verranno introdotte dal governo di Taipei avranno chiaramente un ruolo ancor più decisivo nel regolare potenziali leak tecnologici e a prevenire che casi come questi possano trasformarsi in seri rischi per la sicurezza nazionale, compromettendo tanto le relazioni con Washington quanto il piano, complesso considerando anche il difficile coordinamento con gli alleati, di contenimento tecnologico nei confronti della Cina e dei suoi campioni nazionali.

Intanto, gli impatti della geopolitica sulla catena del valore dei semiconduttori, di cui Taiwan e Tsmc sono al centro, potrebbero essere importanti già a partire dai prossimi anni. Secondo un recente report della società di ricerca Idc, i grandi player del settore si stanno adeguando alle nuove esigenze di sicurezza, autonomia e controllo dei rispettivi governi, nazionali che dei paesi partner. Le operazioni dell’industria dei chip potrebbero passare da un modello di cooperazione su scala globale ad un sistema di competizione multi-regionale: una nuova configurazione che sarebbe evidente soprattutto per il segmento foundry, come testimoniano i piani per attirare gli investimenti oltreoceano di Tsmc. In base alla categorizzazione per località di produzione, la quota cinese continuerà ad aumentare, raggiungendo il 29% nel 2027, con un incremento del 2% rispetto al 2023, mentre la quota di mercato di Taiwan scenderà dal 46% nel 2023 al 43% nel 2027. Gli Stati Uniti guadagneranno qualcosa nella parte dei processi avanzati e la loro quota per i processi a 7 nm e inferiori dovrebbe raggiungere l’11% nel 2027.

Numeri che segnalano un trend, ma che non distoglieranno di fatto Tsmc e l’ecosistema dell’isola dalla centralità di cui godono nell’industria globale e che rimarrà un punto caldo soprattutto per le tensioni crescenti tra Stati Uniti e Cina.



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