Sam Altman è in tour per coinvolgere gli investitori internazionali, l’obiettivo: raccogliere finanziamenti per stimolare la produzione di semiconduttori per l’intelligenza artificiale. Un business che entro la fine del decennio varrà centinaia di miliardi di dollari, oltre ad essere strategico nella competizione tra Usa e Cina…
Sam Altman, amministratore delegato di OpenAI, starebbe raccogliendo fondi per costruire impianti di produzione di semiconduttori per realizzare microprocessori per applicazioni di intelligenza artificiale (AI), secondo quanto riportato da Bloomberg. Il ceo di una delle aziende all’avanguardia nel settore ritiene, infatti, che le tecnologie AI diventeranno talmente pervasive da poter supportare una propria catena di fornitura di semiconduttori negli anni a venire, ma con il rischio che domanda e offerta non si incontrino.
Naturalmente, questa iniziativa sembrerebbe in concorrenza con operatori come Intel, Tsmc e Samsung Foundry, le uniche tre aziende che già producono, per diversi clienti come Apple, Nvidia, AMD e Microsoft, semiconduttori all’avanguardia ovvero quelli sotto i 7 nanometri.
OpenAI, che attualmente utilizza le GPU A100 e H100 di Nvidia per il software ChatGpt (due microprocessori che, per via delle loro performance avanzate, sono stati inseriti tra i prodotti vietati all’export in Cina da parte del Dipartimento del Commercio americano), sta esplorando da tempo un modo di sviluppare in-house i propri processori AI, secondo un rapporto dell’azienda pubblicato a ottobre.
Progettare i propri microprocessori per l’intelligenza artificiale sarebbe in linea con un trend recente che vede colossi digitali del calibro di Amazon Web Services, Google, Microsoft e di molti altri attori che preferiscono disegnare i propri processori piuttosto che acquistare prodotti già realizzati da aziende specializzate. Rimane tuttavia ancora inesplorato, per i costi e le tecnologie necessarie, il segmento foundry su cui si sono specializzate pochissime aziende, come appunto Tsmc, GlobalFoundry Umc e Samsung nella sua divisione dedicata. Tuttavia, gran parte del business rimane concentrato nei primi 3 produttori, con il 92% dei chip avanzati attualmente fabbricati negli impianti di Tsmc a Taiwan.
Probabilmente spinto anche dai rischi di questa concentrazione geografica nell’isola contesa – con lo scenario, difficile da prevedere, di una possibile crisi nello Stretto tra Repubblica Popolare Cinese, Taiwan e Stati Uniti – che taglierebbe fuori l’economia mondiale non solo dai chip più maturi e di più largo consumo, ma vedrebbe inevitabili ripercussioni sullo sviluppo hardware dell’intelligenza artificiale in assenza di fonderie alternative.
Diversificare le forniture, oltre a costruire una propria leadership in un segmento strategico, remunerativo e altamente intensivo per il capitale impiegato (umano e finanziario), sta diventando un focus di primo piano per la maggior parte dei paesi del G7, come testimoniano i fondi pubblici stanziati da Usa, Ue, Corea del Sud e Giappone.
Spinto dall’adozione dell’intelligenza artificiale in diversi settori, il mercato globale dei chip AI ha generato quasi 29 miliardi di dollari solo nel 2022, secondo un rapporto di Next Move Strategy Consulting. Il mercato dovrebbe generare quasi 305 miliardi di dollari entro la fine del decennio, con un tasso di crescita annuale composto (Cagr) del 29% dal 2023 al 2030, secondo le proiezioni del rapporto. Si tratta di un’opportunità enorme.
In questo scenario di crescita, la “guerra” dei chip tra Usa e Cina non sembra aver frenato le certezze dell’industria, che continua a vedere con grande ottimismo l’impatto dell’IA nonostante le misure protezionistiche imposte dal governo americano che, a detta di Morris Chang, ha sferrato un duro colpo alla globalizzazione del settore in un’ottica di sicurezza nazionale.
Ma a quanto pare, pionieri dell’IA come Sam Altman riconoscono i rischi del tecno-nazionalismo: ecco perché costruire una “rete di fabbriche di chip AI” potenzialmente autonoma, come riporta Bloomberg, potrebbe essere una soluzione per non rischiare che le preoccupazioni geopolitiche prendano il sopravvento. Per realizzare questo obiettivo, Altman prevede di avviare discussioni con potenziali investitori come G42, fondo d’investimento focalizzato sullo sviluppo delle applicazioni IA con sede ad Abu Dhabi, e SoftBank Group, al fine di mitigare la carenza di fornitura di chip legati all’IA. I fondi arabi sarebbero altri potenziali indiziati.
Tra le convinzioni di Altman, l’idea che fonderie affermate come Tsmc, Samsung Foundry e Intel Foundry Services, da sole, non saranno in grado di soddisfare la domanda di chip orientati all’IA nei prossimi anni, soprattutto per l’abbraccio asfissiante tra tecnologia e geopolitica. Preoccupazioni su un possibile shortage – che in parte è giustificato in seguito agli sconvolgimenti della pandemia che ha rivelato la fragilità di un sistema estremamente ottimizzato, ma poco resiliente – che riecheggiano con forza nel settore high-tech, con aziende come Meta che prevedono l’adozione di centinaia di migliaia di acceleratori Nvidia nei prossimi anni. Le conseguenze di un rallentamento dell’offerta, per svariate cause, potrebbero rallentare l’adozione su scala dell’IA.
Ma competere con questi giganti del silicio non sarà affatto semplice per una serie di fattori strutturali. E forse non è la strategia più sensata. La Legge di Moore si è dimostrata essere spietata: delle quasi 100 aziende che producevano chip alla frontiera tecnologica (180 nanometri) nel 1999, oggi ne sono rimaste solo 3 che lavorano sotto i 7 nanometri, con la sola Tsmc che già produce a 2.
La costruzione di una singola fabbrica di chip è d’altronde un’impresa titanica, per i costi che vanno dai 10 ai 20 miliardi di dollari, a seconda della posizione e della capacità. Le difficoltà che stanno incontrando le fonderie annunciate e pianificate da Tsmc in Arizona, su stimolo dello US Chips Act, lo dimostrano nonostante i lauti sussidi pubblici, soprattutto per la carenza di personale altamente qualificato. Inoltre, è fondamentale il network di fornitori di prodotti chimici specifici, materiali e macchinari litografici che non sono affatto semplici da replicare, soprattutto per i semiconduttori all’avanguardia. I passi avanti registrati in Europa sono dovuti principalmente alla relativa facilità di mettere insieme la domanda (prevalentemente chip maturi, per industria e automotive) con un’offerta consolidata con chipmakers quali Infineon, STMicroelectronics, NXP. Ma per i chip IA, è tutto un altro paio di maniche.
Proprio per queste difficoltà di entrare con prepotenza in un segmento di mercato oligopolistico e con enormi barriere all’ingresso, è probabile che la strategia di OpenAI virerà, al fine di indirizzare i fondi raccolti verso i produttori di chip affermati come Tsmc, Intel e Samsung. Questo approccio, farebbe di OpenAI un broker e catalizzatore, al fine di convogliare miliardi di dollari per sostenere le grandi spesa per conto di capitale per espandere e alimentare le fabbriche del futuro quali sono le fonderie avanzate. In qualità di leader globale, Tsmc con la sua reputazione consolidata e le partnership esistenti con Nvidia, AMD ed Apple, emerge come il candidato principale.
Secondo il Financial Times, Altman e Mark Liu, presidente di Tsmc, sarebbero già al lavoro seppur quest’ultimo abbia avvertito che concentrarsi su un solo segmento (quello foundry) non basterà senza i paralleli investimenti nella supply chain, come per il packaging avanzato. I nodi del network sono più forti più è denso e solido il reticolo di fornitori, e TSsmc è certamente un esempio di questa visione. Le fonderie sono il cuore pulsante dell’economia digitale, senza le quali il sistema nervoso – soprattutto le applicazioni IA – non funzionerebbe. La complessità di trasformare il silicio in microprocessore avanzato lo dimostra: una tecnologia di processo da 2 o 3 nanometri costa miliardi di dollari, considerando che una sola macchina a litografia ultravioletta come la Twinscan EXE:5000 di ASML costa circa 200 milioni di dollari. La prossima generazione potrà costare tra i 300 e i 400.
La portata finanziaria e operativa dell’iniziativa di Altman non è ancora chiara, ma si parla di 8-10 miliardi iniziali dal momento che siamo nelle prime fasi di sviluppo. Se Altman riuscirà o meno a raccogliere decine o centinaia di miliardi per una sua start up o per finanziare le società che producono chip, lo dirà solo il tempo. Tuttavia, senza dubbio, il suo sforzo potrebbe sconvolgere il mercato delle fonderie e segnare un ulteriore punto di svolta nella geopolitica dei semiconduttori che già vede competere giganti del digitale e sistemi-Paese.