Skip to main content

Perché la Cina non può permettersi una Russia sconfitta. L’analisi di Fardella

Durante il Dialogo strategico Ue-Cina, Wang Yi ha espresso la posizione cinese secondo cui una sconfitta della Russia in Ucraina minaccerebbe l’equilibrio geopolitico asiatico. Pechino sostiene Mosca per contenere l’influenza americana, pur mantenendo una certa distanza dalla logica imperiale russa. L’Europa si trova così stretta tra pressioni Usa, ambizioni cinesi e la necessità di rafforzare la propria sovranità strategica. L’analisi di Enrico Fardella, professore dell’Università di Napoli L’Orientale, direttore del progetto ChinaMed e Associate Director del Guarini Institute della John Cabot University

Durante il 13° Dialogo Strategico UE-Cina, tenutosi a Bruxelles il 2 luglio 2025, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha incontrato l’Alto Rappresentante dell’UE Kaja Kallas. L’incontro, durato circa quattro ore, ha offerto un’indicazione importante sulla posizione cinese nei confronti della guerra in Ucraina.

Secondo fonti europee e internazionali, Wang avrebbe dichiarato che “la Cina non può permettersi che la Russia perda la guerra in Ucraina”, in quanto teme che, una volta terminato il conflitto, gli Stati Uniti spostino tutta la loro attenzione strategica sul fronte cinese, intensificando la pressione su Pechino nel Pacifico e su Taiwan.

Nel corso dell’incontro, Wang ha ribadito la narrazione ufficiale cinese, sottolineando che Pechino non fornisce supporto militare né finanziario diretto alla Russia, e aggiungendo che “se così fosse, il conflitto sarebbe già terminato”.

Le parole del ministro cinese indicano una visione molto chiara: la Cina percepisce il mantenimento della stabilità russa come un proprio interesse strategico prioritario, e collega esplicitamente la guerra in Ucraina al proprio equilibrio geopolitico nell’Asia-Pacifico.

Che la Cina fosse propensa a sostenere la Russia nel conflitto in Ucraina lo sapevamo già. Il 9 settembre 2022, durante una visita ufficiale a Mosca, Li Zhanshu – presidente del Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo – aveva dichiarato che gli Stati Uniti e la NATO stavano mettendo in pericolo la sicurezza nazionale della Russia, che la Cina comprendeva e sosteneva la posizione russa sull’Ucraina, ed era perciò disposta a fornire assistenza. Secondo Wu Guoguang, senior fellow in politica cinese presso il Center for China Analysis, il verbo usato da Li Zhanshu (策应, cè yìng) trasmetteva l’idea di un supporto strategico, discreto e ben coordinato, fornito dietro le quinte.

Ma cosa intende Wang quando parla di una “sconfitta della Russia”? La Cina non ha mai definito esplicitamente cosa significhi una “sconfitta russa” in Ucraina. Tuttavia, è possibile dedurre che Pechino interpreti la questione in termini squisitamente geopolitici, piuttosto che territoriali – in modo dunque molto diverso da Mosca. Se per la Russia perdere significherebbe abbandonare i territori occupati, per la Cina una sconfitta russa coinciderebbe con una maggiore influenza della NATO ai confini russi, la perdita di un partner strategico e il rafforzamento dell’egemonia americana.

Un tale scenario implicherebbe un rafforzamento della NATO e della una influenza in Asia, oltre al rischio di un indebolimento destabilizzante del regime russo, che potrebbe portare a un cambio di leadership e compromettere l’asse sino-russo. Il crollo del sistema putiniano significherebbe per Pechino la perdita di un pilastro dell’architettura multipolare e una maggiore esposizione alla pressione unilaterale americana.

Per questa ragione, il sostegno cinese alla Russia – pur non militare – appare evidente e multifattoriale: si manifesta in forme economiche (acquisto di energia, scambi in yuan), diplomatiche (rifiuto di condanne esplicite specie in sede UN), e narrative (critiche all’allargamento NATO e alle “cause profonde” del conflitto).

Tuttavia, qualora la Russia dovesse subire un ulteriore indebolimento, sia sul piano economico che su quello militare, e qualora gli Stati Uniti mantenessero — o addirittura accentuassero — la loro pressione strategica su Pechino, è verosimile che la Cina si trovi nella condizione di rafforzare in modo significativo il proprio sostegno a Mosca. Un tale impegno sarebbe dunque dettato dalla necessità di preservare la stabilità del regime russo e salvaguardare il suo ruolo di baluardo geopolitico nel cuore del continente eurasiatico, fondamentale per contenere l’espansione dell’influenza occidentale e riequilibrare l’ordine globale secondo una logica multipolare.

In quest’ottica, è significativo quanto osservato dal professor Zhao Huasheng, del Centro Studi su Russia e Asia Centrale dell’Università Fudan: “Il ruolo della Russia è cruciale per la Cina al fine di mantenere la sicurezza e la stabilità lungo la sua periferia continentale, soprattutto in un momento in cui si intensificano le pressioni occidentali nell’Indo-Pacifico”. Zhao sottolinea che, in caso di un’escalation su Taiwan, il sostegno russo sarebbe fondamentale per la sicurezza energetica della Cina e per la sua capacità di resistere alle sanzioni occidentali.

Tuttavia, non mancano divergenze strategiche tra Pechino e Mosca. Il professor Feng Yujun, eminente esperto di Russia dell’Università di Pechino, ha messo in guardia contro la logica imperiale che motiva l’azione russa in Ucraina, affermando che: “La concezione russa dei ‘confini culturali’ non è, in sostanza, diversa dalla dottrina occidentale della supremazia dei diritti umani sulla sovranità”. Pechino ha cercato di distanziarsi – almeno formalmente – da questa logica e si è dunque espressa a favore della sovranità e integrità territoriale ucraina senza mai riconoscere ufficialmente l’annessione della Crimea o l’indipendenza di Luhansk e Donetsk.

Agli occhi di molti autorevoli analisti cinesi, l’avventurismo militare della Russia ha anzi contribuito all’emergere di un nuova contrapposizione tra blocchi, rafforzando l’egemonia degli Stati Uniti nei confronti dei propri alleati, compromettendo l’autonomia strategica europea e intensificando la pressione americana sul Mar Cinese Meridionale e soprattutto su Taiwan.

Le acrobazie strategiche di Donald Trump in materia di Ucraina, NATO e politica commerciale hanno tuttavia contribuito ad aprire nuove significative crepe nella coesione transatlantica. Fratture che Pechino potrebbe ora essere tentata di sfruttare — e persino di amplificare — per indurre l’Europa a volgere lo sguardo an Est nella ricerca di nuove garanzie di sicurezza e sviluppo.

La posizione cinese nel conflitto tra Israele e Iran potrebbe essere utile a interpretare meglio la posizione di Pechino. La Cina non ha fatto nulla per supportare il vecchio partner iraniano colpito da Tel Aviv (e Washington). Da diverso tempo la Cina ha sviluppato infatti con successo un ribilanciamento della sua influenza regionale distanziandosi dalle iniziative più destabilizzanti del regime iraniano e avvicinandosi ai paesi del Golfo e all’Arabia Saudita. Ciò è stato reso possibile anche da una crescente disillusione da parte degli attori locali sulle capacità americane di continuare a fornire sicurezza e sviluppo nella regione. Ciò ha determinato un ribilanciamento delle politiche estere dei principali paesi del golfo di cui Pechino ha potuto beneficiare sia in chiave economica (con un impennata degli investimenti cinesi nei settori tecnologici più strategici per lo sviluppo) che politica (grazie all’appoggio di molti di questi paesi alle politiche cinesi in Xinjiang e al loro riconoscimento della sovranità di Pechino su Taiwan).

È in questa cornice che può forse essere letto il messaggio indirizzato all’Europa dal capo della diplomazia cinese Wang Yi: se volete che la Cina assuma una posizione realmente neutrale sul conflitto ucraino dovreste fare come il Golfo e avviare con noi un coordinamento più ampio in grado di affrontare le pressioni statunitensi, tanto sul fronte commerciale quanto su Taiwan.

In tale prospettiva, le reiterate richieste provenienti da varie cancellerie europee affinché Pechino utilizzi la propria influenza su Mosca per favorire un negoziato sembrano rispondere più a esigenze di comunicazione politica — come un tempo avveniva con gli appelli al rispetto dei diritti umani — che a una reale strategia diplomatica.

Nel frattempo, l’inasprimento delle tariffe americane restringe progressivamente l’accesso sia dell’export europeo che di quello cinese al mercato statunitense. In un simile scenario, le economie europee si trovano esposte a una doppia pressione: da un lato, la crescente concorrenza di Pechino sui mercati internazionali; dall’altro, il rischio di una competizione asimmetrica sul mercato interno, destinata a colpire duramente il tessuto industriale europeo, innescando nuove dinamiche di deindustrializzazione e un potenziale incremento della disoccupazione.

In questo contesto di transizione e vulnerabilità, l’Europa si trova dinanzi a una scelta cruciale come mai prima d’ora: accelerare con decisione il proprio processo di integrazione, rafforzando le difese del suo mercato e della sua sovranità strategica, oppure dividersi ulteriormente, rassegnandosi a un progressivo ridimensionamento di fronte alla convergenza tra le ambizioni industriali cinesi e la proiezione militare russa.


×

Iscriviti alla newsletter