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Sopravvivere alla Cina. La chance industriale europea secondo Maffè

La sovracapacità del Dragone denunciata dal ministro dell’Economia è un problema per troppo tempo ignorato dall’Occidente e che ora presenta il conto. Se si vuole sopravvivere al rullo compressore cinese bisogna investire e innovare. E l’esempio tedesco può fare scuola. I dazi? Un accordo si troverà, ma non sarà una vittoria. Non per l’Europa almeno. Intervista all’economista della Bocconi, Carlo Alberto Carnevale Maffè

Produrre tanto, come non ci fosse un domani, ma consumare poco o non abbastanza. Davvero uno strano paradosso quello della Cina, dove 1,4 miliardi di individui non bastano più a soddisfare l’enorme offerta dell’industria nazionale. Dalle auto elettriche, alle batterie, passando per i pannelli fotovoltaici, il Dragone offre più di quando i cinesi chiedano. L’effetto finale è catastrofico: tutto quello che non viene assorbito dal mercato interno, se ne va all’estero, esondando dai confini nazionali. Ma ecco l’effetto collaterale indesiderato.

Interi equilibri sono stati nel tempo stravolti, perché i prodotti cinesi non solo costano meno, coprono una gamma pressoché infinita di categorie. E così l’Occidente e le sue manifatture, le case automobilistiche se ne sono accorte da tempo, sono lentamente scivolate in uno stato di sofferenza. L’allarme lanciato dal Sudafrica, in occasione del G7 delle Finanze, dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non è certo casuale. Formiche.net ne ha parlato con l’economista della Bocconi, Carlo Alberto Carnevale Maffè.

“La sovracapacità cinese altro non è che il risultato di 20 anni di politica industriale costruita a tavolino e basata sulle esportazioni, lo hanno fatto anche i tedeschi e gli italiani in questi ultimi 40 anni. Con la differenza che, dal 2010 in avanti, la sovracapacità cinese è stata foraggiata, sussidiata e finanziata dallo Stato. E le conseguenze, oggi, sono sotto gli occhi di tutti: la Cina domina le rinnovabili, con il 40% della capacità fotovoltaica installata globale, è padrona della filiera nucleare e, naturalmente, di quella dell’automotive. Non dovremmo stupirci più di tanto, sono anni che il Dragone accumula un vantaggio strategico, a base di sussidi e sostegni statali”, premette Maffè.

L’economista verticalizza. “Se la domanda è ‘come siamo arrivati a questo?’ allora, la risposta può essere questa. Nel momento in cui si mettono in discussione del regole del Wto, ovvero gli equilibri commerciali mondiali, e parlo dei dazi, ecco che la concorrenza sleale cinese viene fuori da sé: voglio dire, se io attacco le regole del commercio globale, allora autorizzo la Cina a fare altrettanto, a modo suo. Ecco spiegata la grande aggressività del Dragone: è quasi una una reazione uguale e contraria”, spiega Maffè. Domanda, che cosa può fare l’Europa dinnanzi a tutto questo?

“Purtroppo non c’è molta scelta, se si vuole stare al passo della Cina bisogna innovare, innovare e innovare, esattamente come sta facendo Pechino. E, soprattutto, credere nell’industria. L’Europa e l’Italia, debbono smetterla di celebrare il passato, le tradizioni. E cominciare a guardare il futuro. Faccio un esempio. Bisogna che i Paesi membri rimettano al centro gli investimenti e lo facciano tutti insieme. Inutile andare in ordine sparso con dieci ingegneri a testa contro la corazzata cinese”.

Maffè chiama direttamente in causa la Germania. Che, in questo momento, “ha le idee più lucide di tutti, ha messo da parte il tema del debito, che per loro è sempre stato un totem, preferendo spendere per competere. Per Berlino si tratta di una rivoluzione copernicana, i conti che cedono il passo alla spesa. Ed è esattamente quello che dovrebbe fare l’intera Europa. L’Italia ha fatto il contrario: Giorgia Meloni e Giorgetti sono stati molto bravi sul terreno della finanza pubblica, ma a discapito dell’industria. Per questo dico che l’esempio tedesco può valere”.

Il discorso si sposta poi proprio sui dazi e sul tentativo dell’Europa di trovare un accordo con gli Stati Uniti. “L’intesa arriverà, è stata trovata con il Regno Unito e sarà trovata con l’Europa. Ma il punto è un altro: non sarà una vittoria, perché i dazi hanno un costo. A cominciare dall’incertezza che finora ha impedito alle imprese di mezzo mondo di pianificare i loro investimenti. Quindi anche se un accordo verrà salutato come un trionfo, in realtà sarà una sconfitta per il commercio. E anche per l’Europa”.


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