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L’accordo (momentaneo) Trump-Xi conta per Ue e Italia. Plummer spiega perché

Trump vuole un successo, troverà un accordo con la Cina, ma l’intesa con Xi sarà una tregua temporanea, avverte Michael Plummer, professore della Johns Hopkins Sais. Per questo, “l’Europa deve imparare a pensare per se stessa”, mentre l’Italia “può trarre vantaggio dall’attuale fase di  stabilità politica interna, sfruttando il quadro europeo, e la fase di revisione delle relazioni internazionali dell’Ue, per promuovere i propri interessi nazionali”

Mentre il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, incontrava il premier cinese, Li Qiang, nel corso del summit dell’Asean, il presidente statunitense, Donald Trump, diretto verso il vertice dell’Apec, si prepara al primo faccia a faccia con il leader cinese, Xi Jinping, dall’inizio del suo secondo mandato. La sovrapposizione di eventi è paradigmatica dell’interdipendenza tra i due dossier: la stabilità Usa-Cina e le nuove relazioni tra Ue e Cina, con il rapporto transatlantico sullo sfondo.

Elementi emersi durante la conferenza di due giorni “Turning Tides. The Future of China–EU Relations”, organizzata da Johns Hopkins University Sais Europe e Università di Bologna in occasione del cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra la Repubblica Popolare Cinese e l’Unione europea. È in questo contesto che Formiche, media-partner dell’evento, conversa con Michael Plummer, Eni Professor of International Economics, alla Johns Hopkins Sais Europe.

“Ci sarà un annuncio, e sarà presentato come un grande successo”, premette Plummer, riferendosi al possibile accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina. “Ma sarà importante guardare alla sostanza più che alla forma. Probabilmente ci troveremo davanti  una tregua temporanea, forse della durata di un anno. Trump ha minacciato dazi molto alti: non li introdurrà, ma non toglierà nemmeno tutto ciò che ha imposto. È probabile che una parte significativa dei dazi resti, magari alla fine saranno comunque intorno al 39%? Mentre Pechino concederà qualche apertura, soprattutto sul fronte delle misure di export control sui minerali critici.”

Secondo Plummer, tuttavia l’intesa non segnerà la fine delle tensioni bilaterali: “Non significa che assisteremo a una grande pace economica. Piuttosto, a un equilibrio  in cui persistono elementi di contrasto, ma gestiti entro un quadro di stabilità relativa.”

Nel frattempo, osserva l’economista, “gli Stati Uniti stanno intensificando i loro sforzi per diversificare le fonti di approvvigionamento, in particolare dei minerali critici. Il rischio, per la Cina, è di aver giocato le proprie carte troppo presto, dando agli Usa tempo a proprio favore. Washington sta lavorando con partner come Australia, Canada (nonostante le tensioni politiche) — e Argentina per ridurre la dipendenza da Pechino”, che sono uno degli elementi più sensibili nel confronto in corso tra le due potenze.

Sul piano geopolitico, Plummer sottolinea che il dialogo tra Washington e Pechino rimarrà circoscritto al piano economico: “Nel discorso comune non entreranno i temi più sensibili: niente Taiwan, niente Mar Cinese Meridionale, probabilmente nemmeno troppo approfondimento sul dossier Ucraina. Trump vuole presentarsi come l’artista del deal, vuole un qualche genere di successo da rivendicare a livello interno e dimostrare al resto del mondo che sa come trovare un’intesa con la Cina”.

E tutto questo, che ricaduta ha sull’Unione europea? “L’accordo che si profila rappresenti probabilmente il massimo risultato possibile per l’Europa”, spiega il docente della Sais. Le restrizioni cinesi all’export di minerali critici hanno colpito anche l’Ue, riflette, e allo stesso tempo lo scarico di eccesso produttivo cinese, sullo sfondo di un’eventuale guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, rischia di pesare sull’Europa, dunque qualsiasi forma di stabilità è positiva. Tuttavia, commenta Plummer tutto questo dovrebbe spingere l’Ue a una riflessione più profonda sulla propria autonomia. “L’Europa deve imparare a pensare per se stessa, anche perché Trump non si considera il leader dell’Occidente, ma esclusivamente degli Stati Uniti. In passato si poteva mantenere una certa dipendenza strategica, oggi non più.”

Plummer aggiunge che “l’Ue fatica a superare i propri chokepoint politici interni: non riusciamo a concludere un accordo con il Mercosur per l’agricoltura, o con l’Australia per poche tonnellate di carne bovina. È un limite strutturale. Negli Stati Uniti esistono differenze di visioni e in qualche modo anche ostacoli tra stati, per capirci gli interessi della Florida non sono gli stessi di quelli della California, ma il sistema federale consente di superarli. L’Europa, invece, non dispone ancora di una simile capacità decisionale integrata”.

E in tutto questo, l’Italia? Secondo Plummer, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni “si muove in un contesto molto complesso, vista anche la ferocia della politica italiana, con l’obiettivo di mantenere un equilibrio delicato”. “Ha un canale diretto con Trump, cerca di essere un ponte transatlantico, e relazioni pragmatiche con la Cina. La sfida è gestire a livello politico  questo doppio binario, mentre sul piano interno persistono problemi economici, come quelli legati al settore dei veicoli elettrici cinesi.

Tuttavia, “l’Italia può tuttavia trarre vantaggio dall’attuale fase di  stabilità politica interna, sfruttando il quadro europeo, e la fase di revisione delle relazioni internazionali dell’Ue, per promuovere i propri interessi nazionali”.


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