Dopo i cieli, anche i mari si popolano di droni. La Cina è oggi tra i Paesi più avanzati nello sviluppo di Usv, sistemi capaci di unire costi ridotti, modularità e autonomia crescente. Dai laboratori universitari ai cantieri militari, Pechino punta a rivoluzionare la propria guerra navale
Gli Unmanned Surface Vessels (Usv) rappresentano una delle innovazioni più interessanti per quanto riguarda il futuro della guerra. Non è affatto da escludere che questi droni marini potrebbero guidare uno sviluppo paragonabile a quello promosso dagli Unmanned Aerial Systems (Uas), assurti al ruolo di protagonisti nei conflitti più recenti e fautori di trasformazioni radicali a livello dottrinale.
Le potenzialità degli Usv sono emerse chiaramente all’interno del conflitto in Ucraina, dove Kyiv ha sfruttato in modo estremamente efficace questi sistemi d’arma all’interno di un approccio asimmetrico che le ha permesso non solo di contestare il dominio del bacino del Mar Nero alla flotta di Mosca, ma addirittura di spingerla sempre più verso Est, in modo da tenerla al sicuro. Un fenomeno attenzionato da tutti gli analisti militari del mondo. Inclusi, ovviamente, quelli cinesi.
In un’analisi pubblicata sul sito della Jamestown Foundation, Sunny Cheung e Owen Au affermano che gli osservatori militari della Repubblica Popolare stiano monitorando con la massima attenzione gli sviluppi, un’attenzione testimoniata anche dalla produzione di documenti e riflessioni riguardanti proprio queste capacità. Gli autori ne sottolineano i vantaggi in termini di costo, scalabilità, flessibilità e difficoltà di individuazione, ma riconoscono anche i limiti strutturali: l’efficacia degli Usv dipende fortemente dall’effetto sorpresa e dalle operazioni notturne; la loro autonomia è ridotta a causa delle dimensioni compatte; e le comunicazioni via microonde li rendono vulnerabili a disturbi o interferenze. In scenari di alta intensità o di perdita del controllo remoto, questi sistemi rischiano di diventare inefficaci, evidenziando la necessità di integrarli in un più ampio sistema di guerra multi-dominio per massimizzarne il potenziale operativo.
Nulla di sbagliato. Ma l’analisi in questione rischia di non includere al suo interno alcuni fattori importanti, a partire dal fatto che l’interesse cinese per questa tipologia di armi risale a ben prima del conflitto in Ucraina, con i primi prototipi realizzati da centri universitari e aziende private nella prima metà dello scorso decennio, a cui nella seconda metà si sono aggiunti anche i grandi conglomerati dell’apparato militare-industriale di Pechino.
Ben prima che gli Usv divenissero oggetto di attenzione da parte degli “addetti ai lavori”, la Repubblica Popolare Cinese stava già sviluppando sistemi simili. Non che la cosa stupisca, considerando come per anni gli strateghi cinesi abbiano optato per un approccio Anti-access/Area Denial (A2/Ad) al fine di proteggere le proprie coste da ingerenze esterne – principalmente statunitensi. Un approccio in cui Usv come quelli visti in azione nel Mar Nero si integrano alla perfezione, anche in virtù delle caratteristiche elencate da Au e Cheung.
Ma col passare del tempo, la dottrina marittima cinese si è evoluta, superando il “limite” della difesa delle proprie acque costiere. Così come si è evoluta la concezione degli Usv. Nel guardare a “queste navi senza equipaggio”, l’apparato della Difesa cinese non si è infatti limitato a concepire piccoli modelli “one-way”, ovvero destinati con tutta probabilità a un singolo utilizzo. Anzi, al contrario, Pechino ha realizzato unità complesse destinate a svolgere compiti più articolati.
Basti pensare allo “Zhu Hai Yun”, una vera e propria porta-droni unmanned ufficialmente sviluppata per scopi di ricerca scientifica in ambito civile, ma facilmente convertibile ad usi militari. O allo Jari Usv-A “Orca”, un trimarano senza equipaggio dotato di missili da crociera, un elicottero (anch’esso unmanned) imbarcato, tubi lanciasiluri, un cannone retrattile e sistemi di difesa aerea a corto raggio, capacità per le quali il Global Times lo ha definito un “mini-cacciatorpediniere classe Aegis”. Due esempi diversi ma simbolici di quanto la Repubblica Popolare abbia investito nello sviluppo degli Usv, arrivando ad acquisire capacità di cui altri attori, in primis gli Stati Uniti, ancora non dispongono.
Dati alla mano, dunque, possiamo dire che il futuro degli Usv nell’approccio marittimo cinese sia destinato a divergere profondamente da quello visto nel Mar Nero nel corso degli ultimi mesi. Con tutta probabilità, essi smetteranno di essere impiegati in contesti marcatamente asimmetrici, diventando invece parte integrante delle dinamiche di confronto più “convenzionali” nella dimensione marittima.
















