In origine le sanzioni erano un preludio alla guerra, una forma moderna di assedio per logorare l’avversario prima di sferrare l’attacco. Con il tempo sono diventate un’alternativa al conflitto armato, spostando lo scontro dal piano militare a quello economico. Da ultimo passo prima del confronto bellico diretto sono divenute il primo passo per evitarlo. Nella guerra in Ucraina questa logica si è ulteriormente ribaltata. L’opinione di Igor Pellicciari
Qualunque sarà la sorte della proposta di pace in 28 punti avanzata da Donald Trump, essa conferma quanto siano centrali le sanzioni nel conflitto in Ucraina.
Sanzioni, Aiuti, Guerra
Come gli aiuti di Stato, le sanzioni registrano da decenni un crescente impiego nelle politiche estere, adattandosi ai nuovi contesti globali. Entrambi si affiancano agli strumenti tradizionali della guerra e del commercio nelle relazioni internazionali.
Concepite in origine come un preludio alla guerra, una forma moderna di assedio per logorare l’avversario prima di sferrare l’attacco, con il tempo le sanzioni sono diventate un’alternativa al conflitto armato, spostando lo scontro su altri piani. Da ultimo passo prima del confronto bellico diretto, sono divenute il primo passo per evitarlo.
Nella guerra in Ucraina questa logica si è ulteriormente ribaltata. Le sanzioni non anticipano né deviano la guerra, ma ne sono un elemento costitutivo. In parallelo agli aiuti, con cui si sono integrate, sono diventate fasi tattiche del conflitto armato.
Definite dai donatori occidentali insieme al destinatario dei loro aiuti, Kyiv, le sanzioni contro la Russia agiscono di fatto come un sostegno all’Ucraina. La sanzione al nemico è (pensata, usata e comunicata come) un aiuto all’amico.
Strumento politico vs canale economico
In nome della loro centralità e frequenza, sulle sanzioni si è sviluppato un dibattito ricorrente, spesso divisivo, sul loro reale impatto.
Poiché hanno inciso soprattutto sul versante economico, ci si è focalizzati su questo aspetto, oscillando tra attese future e critiche ai fallimenti passati.
Da un lato si è dimenticato che le sanzioni non sono strumenti puramente economici ma interventi politici che operano attraverso l’economia. Dall’altro si è trascurato che, come per gli aiuti internazionali, esiste uno scarto tra gli obiettivi dichiarati e le finalità politiche, spesso sottaciute nella comunicazione istituzionale.
Il caso ucraino, tanto in Occidente quanto in Russia, ha mostrato impatti politici delle sanzioni che vanno valutati nel considerane l’efficacia complessiva.
Sul piano interno, sanzioni e contro-sanzioni hanno contribuito a consolidare il consenso politico, a rafforzare la percezione di coesione nazionale di fronte a una minaccia esterna e a compattare l’opinione pubblica attorno alla risposta dello Stato. Hanno inoltre tradotto la politica estera in un linguaggio morale immediato e comprensibile.
Sul piano esterno, le sanzioni hanno puntato a isolare politicamente il Paese colpito, riducendone la capacità diplomatica, lo spazio di manovra e lo status internazionale. Hanno così condizionato le scelte del sanzionato, rafforzato la compattezza del fronte sanzionatore e prodotto un effetto di accerchiamento internazionale.
Effetti Collaterali
Se su entrambi questi piani politici le sanzioni in Ucraina hanno prodotto risultati, hanno generato anche effetti collaterali e contraccolpi negativi.
Sul piano interno, si sono generate forme di ostilità culturale – dalla russofobia all’anti-europeismo e all’anti-americanismo – alimentando un clima di contrapposizione e di progressivo isolamento sociale rispetto al nemico esterno. In questo contesto si è rafforzata una narrativa del “noi contro loro”, che ha coinvolto l’intera società, ricostruendo un immaginario da muro contro muro e isolando reciprocamente opinioni pubbliche e spazi di comunicazione.
Sul piano internazionale, all’interno del fronte Occidentale, la scelta di concentrare le misure in alcuni settori ha fatto sì che alcuni Stati sanzionatori fossero chiamati a pagare un prezzo più alto, subendo squilibri commerciali, energetici e industriali più marcati.
Secondo alcuni, questa distribuzione asimmetrica degli effetti non sarebbe un fenomeno casuale, tanto da ipotizzare che, dietro al comune obiettivo di colpire la Russia per la guerra in Ucraina, alcuni Paesi abbiano utilizzato l’occasione per ridefinire a proprio vantaggio gerarchie ed equilibri politico-economici, in particolare all’interno di una Unione Europea già frammentata.
Sanzioni vs Visti Schengen
Un esempio recente ed emblematico di queste contraddizioni riguarda la stretta alla concessione dei visti Schengen ai cittadini russi annunciata dall’Alto Commissario per la politica estera europea, Kaja Kallas. Giustificata come misura per limitare la mobilità europea dei cittadini di un Paese aggressore, essa rientra tra quelle che puntano a creare disagio alla popolazione russa con l’obiettivo di rafforzare il livello di dissenso popolare interno verso il Cremlino.
Al netto della criticità di un provvedimento che introduce una forma di responsabilità collettiva in contrasto con la tradizione liberale europea fondata sulla responsabilità individuale, sul piano interno emergono due effetti controversi. Da un lato si ostacolano quei legami sociali, i rapporti tra privati e gli scambi dal basso tra diverse realtà che, in tempo di guerra, rappresentano uno dei canali da cui può iniziare un percorso di distensione tra società ormai collocate in mondi contrapposti.
Dall’altro, sul versante russo, la stessa disposizione produce l’effetto opposto: alimenta la percezione popolare di accerchiamento e rafforza la retorica dell’assedio occidentale, facilitando il compattamento identitario attorno alla leadership di Vladimir Putin.
Made in Italy, Re-Sold in Emirates
Sul piano internazionale si ripropone una dinamica già vista in altri settori colpiti dalle sanzioni. Come accaduto per l’agroalimentare, il commercio e il turismo, un’ulteriore stretta sui visti si traduce in un calo delle presenze russe nei Paesi che hanno rappresentato le principali mete turistiche dei cittadini russi. In primis l’Italia.
Mentre in Russia, le misure facilitano un processo di sostituzione interna, con il mercato domestico chiamato a rimpiazzare i prodotti europei con produzioni nazionali, penalizzando i vecchi Paesi esportatori.
Un paradosso analogo a quello dei prodotti nostrani preclusi ai russi in Italia. Ma poi rivenduti loro a prezzo maggiorato da retail di Paesi terzi. Made in Italy, Re-sold in the Emirates.
















