Riduzione delle emissioni del 90% entro i 2040: un target ambizioso ma da raggiungere in modo pragmatico. Apertura ai biocarburanti come alternativa alle auto elettriche, valorizzazione delle biomasse come risorsa rinnovabile e ossigeno per le imprese italiane dell’automotive. Colloquio con il responsabile politiche energetiche di Forza Italia, Luca Squeri
Più pragmatismo, meno emissioni. L’accordo sul clima appena raggiunto in Europa viene salutato come un successo dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin. Ma non si tratta solo di un risultato politico: il pacchetto rappresenta una correzione di rotta che tocca il cuore della transizione energetica. Formiche.net ne ha parlato con Luca Squeri, deputato di Forza Italia e responsabile del partito per le politiche energetiche.
Onorevole Squeri, l’accordo europeo sul clima è stato definito un successo dal ministro Pichetto Fratin. Lei condivide questa lettura?
Sì, la condivido. È un passo avanti importante, anche se non risolutivo. È un accordo che corregge la rotta di un percorso che andava modificato. Ci troviamo davanti a un risultato complesso, ma significativo: finalmente in Europa si comincia a riconoscere la necessità di un approccio più equilibrato, che tenga insieme sostenibilità ambientale, economica e sociale.
In che senso parla di “correzione di rotta”?
Perché fino a oggi l’Unione Europea ha spesso perseguito obiettivi ambientali senza considerare adeguatamente gli effetti economici. L’accordo introduce elementi di pragmatismo. Penso, ad esempio, alla proroga dell’entrata in vigore dell’Ets 2, che riguarda la mobilità: una misura che evita di scaricare costi immediati sui cittadini. Già il primo Ets ha creato problemi alle aziende energivore; l’Ets 2 avrebbe potuto farne nascere di nuovi per le famiglie. La proroga consente di guadagnare tempo e di evitare, diciamo così, un’esecuzione sommaria del sistema produttivo e dei consumatori.
Uno dei punti più discussi è l’obiettivo del taglio delle emissioni del 90% entro il 2040. Come lo giudica?
È un traguardo ambizioso, ma non irraggiungibile, a patto che sia accompagnato da realismo e flessibilità. Fissare obiettivi è importante, ma bisogna capire come raggiungerli senza distruggere il tessuto economico europeo. La riduzione del 90% delle emissioni dovrà passare da tecnologie diverse: elettrico, biocarburanti, idrogeno, cattura della CO₂. Ed è proprio qui che la neutralità tecnologica diventa decisiva. Se l’Europa saprà valorizzare tutte le soluzioni, allora il 2040 potrà essere una meta possibile. Se invece continuerà a privilegiare un’unica strada, rischiamo di perdere competitività e posti di lavoro.
Un altro punto centrale riguarda l’apertura ai biocarburanti. Perché è così rilevante?
Perché sancisce finalmente il principio della neutralità tecnologica, che fino a oggi era stato solo evocato. Non si tratta di negare il ruolo dell’elettrico, ma di riconoscere che la transizione non può essere monolitica. L’uso dei biocarburanti apre una strada alternativa, che dà ossigeno al settore dell’automotive e risponde alle richieste di molte imprese, anche italiane. È un cambio di paradigma: non più una tecnologia imposta, ma più soluzioni per raggiungere lo stesso obiettivo. Fra l’altro mettendoci al riparo, per lo meno in parte, dalla politica aggressiva dei cinesi sul comparto dell’elettrico.
Quale ruolo, realmente, ha avuto l’Italia nell’ambito di questa trattativa europea?
Il punto di forza dell’Italia è stato proprio quello di portare avanti la tesi della neutralità tecnologica, ma con un approccio pragmatico. Abbiamo dimostrato che la sostenibilità deve essere anche economica e sociale, non solo ambientale. Per far passare questa linea serviva una massa critica all’interno del Consiglio, e siamo riusciti a costruire alleanze importanti. Oggi possiamo dire che è passata la linea italiana, e che l’Europa si sta avvicinando a una visione più equilibrata della transizione.
Nell’accordo si parla anche di biomasse. È un tema spesso trascurato nel dibattito pubblico. Quella contenuta nell’accordo è una scelta strategica?
Esatto: le biomasse rappresentano una risorsa preziosa, soprattutto per un Paese come il nostro. Finora sono state quasi considerate una fonte di serie B, ma nell’accordo viene riconosciuto il loro contributo in termini di rinnovabilità. Noi in Italia utilizziamo circa il 20% degli scarti agro-forestali, mentre in Europa si arriva al 75%. C’è quindi un margine enorme per migliorare e valorizzare una filiera che può generare energia pulita e occupazione locale.
Che tipo di ricadute pratiche si aspetta da questo accordo?
Mi aspetto che si apra una fase più realistica della transizione. Un percorso che tenga conto della sostenibilità economica e della competitività industriale. In altre parole, un modello europeo che difende le nostre imprese e i nostri cittadini senza piegarsi alle influenze esterne, penso soprattutto a quelle cinesi. È un passo avanti verso un equilibrio più giusto: meno ideologia, più concretezza.
















