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Tokyo-Pechino, nuova turbolenza. La crisi diplomatica esplosa attorno a Taiwan

Le relazioni tra Giappone e Cina sono precipitate dopo le dichiarazioni della premier Sanae Takaichi su Taiwan, che Tokyo potrebbe considerare una “minaccia esistenziale”. La risposta feroce di Pechino rivela quanto l’equilibrio strategico in Asia sia diventato fragile nell’era Trump

 

A pochi giorni dal vertice in cui la premier nipponica, Sanae Takaichi, e il leader politico-ideologico cinese, Xi Jinping, avevano promesso una fase di “cooperazione stabile”, le relazioni tra Tokyo e Pechino sono piombate in una nuova crisi. A far detonare le tensioni è stata una serie di dichiarazioni della premier giapponese Sanae Takaichi su Taiwan, seguite da dure risposte cinesi che hanno riaperto un fronte diplomatico tra i più delicati dell’Asia. Diplomatici e analisti sottolineano senza sbilanciarsi pubblicamente che il rapporto tra Tokyo e Pechino si muove da anni su un crinale instabile, ma mai così delicato come in questi giorni.

L’arrivo di Takaichi e la sensibilità cinese

Con l’ascesa di Takaichi — figura considerata falco e politicamente erede del padre del concetto di Indo-Pacifico, il compianto primo ministro Shinzo Abe, non tra i più amati in Cina — Pechino ha iniziato a monitorare da vicino ogni segnale di un possibile irrigidimento della linea giapponese.

La Cina non ha inviato alcun messaggio di congratulazioni per la sua elezione, una rottura con la prassi che ha evidenziato fin da subito il livello di tensione. Nonostante lo sgarbo iniziale, Tokyo ha lavorato intensamente per ottenere un incontro con Xi Jinping. Il faccia a faccia, avvenuto il 31 ottobre durante l’Apec in Corea del Sud, è passato senza incidenti particolari. Ma l’equilibrio è durato solo ventiquattr’ore.

La foto con il rappresentante di Taiwan e la frase sull’“esistential threat”

Il giorno successivo, Takaichi ha incontrato il rappresentante taiwanese al forum Apec e ha pubblicato sui social la foto dell’incontro. La reazione cinese è stata immediata. A questo si è aggiunta la sua dichiarazione in Parlamento: un attacco cinese a Taiwan, ha detto, potrebbe essere interpretato come una “minaccia esistenziale” per il Giappone, aprendo la possibilità di un intervento militare delle Forze di autodifesa anche senza un’aggressione diretta al territorio giapponese. Una formulazione che nessun primo ministro nipponico aveva mai utilizzato, toccando un nervo esistenziale per la Repubblica popolare cinese – che brama di annettere Taipei, considerata una provincia ribelle dal 1949.

Pechino non poteva che replicare con durezza. Un portavoce del ministero degli Esteri ha ribadito che la Cina “sarà alla fine riunificata” e che schiaccerà qualsiasi tentativo di interferire nei suoi sforzi di riunificazione. Il tono è stato alzato dal console generale cinese a Osaka, che in pieno stile wolf-warrior ha pubblicato un messaggio minaccioso su X: se un “collo sporco si infila dove non è invitato”, ha scritto, “lo taglieremo senza esitazione”. Takaichi non ha ritirato le sue parole, pur precisando in Parlamento che non intende ripeterle.

Un contesto reso più instabile dall’ultimo viaggio di Trump

La recente visita di Donald Trump nella regione e il raggiungimento di un accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina avrebbero contribuito a irrigidire entrambe le capitali. Tokyo, galvanizzata dalla visita considerando il primo degli alleati nella regione (e non solo), e Pechino, forte dell’intesa sui dazi, si sentirebbero oggi più libere di mostrare posizioni dure.

La conseguenza — osservano confidenzialmente fonti diplomatiche — è un “cambio della scacchiera” che negli ultimi giorni ha spinto entrambe le parti a parlare con maggiore assertività.

Sicurezza economica, vulnerabilità e limiti della costituzione pacifista

Tra i commentatori nazionalisti, Hu Xijin ha definito Takaichi “reckless”, sconsiderata, e l’ha accusata di voler “creare più pretesti per aumentare il bilancio della Difesa” e “pingere ai limiti la costituzione pacifista”. Va però detto che la premier ha maturato, da ministra della sicurezza economica, una comprensione delle vulnerabilità industriali ed energetiche del Paese che potrebbe influenzare profondamente la sua politica verso la Cina.

Il tema economico resta centrale: il Giappone continua a dipendere in larga misura dalla manifattura cinese e dal mercato cinese come motore della propria crescita. Non eccezionale per un Paese che si trova alle prese con la necessità di ricostruire strutturalmente il proprio tessuto produttivo e innovativo.

Ma questa interdipendenza è controbilanciata da una percezione di rischio crescente per l’assertività militare di Pechino e dalla consapevolezza che la sicurezza del Giappone dipende dal supporto statunitense, considerato “l’unica opzione” come garante.

Un equilibrio reso più fragile dall’incertezza americana

Alcuni osservatori avvertono che l’approccio “tendenzialmente isolazionista” dell’amministrazione Trump ha danneggiato l’immagine degli Stati Uniti come partner affidabile, generando tra i funzionari giapponesi un nuovo timore per i potenziali danni al rapporto bilaterale. E dunque, questo porta Tokyo a certi slanci, “rischiosi”.

Secondo Margarita Estévez-Abe, politologa della Maxwell School, “la scacchiera è cambiata parecchio negli ultimi dieci giorni” e “entrambe le parti si sentono più sicure nel mostrare assertività”. Takaichi, sostiene, “si sente in grado di parlare con maggiore franchezza”, mentre Pechino avrebbe adottato un atteggiamento più prudente “se non avesse raggiunto un accordo con gli Stati Uniti sui dazi”.


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