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Non braccio di ferro ma stretta di mano. L’alleanza fra Stato e Big Pharma

Di Eleonora Mazzoni

L’intervento dell’Agenzia delle Dogane che ha bloccato una spedizione di vaccini contro la meningite prodotti da GlaxoSmithKline (GSK) porta con sé il rischio di scoraggiare ulteriormente le aziende nei confronti del nostro sistema Paese, introdurre ulteriori gradi di incertezza, e di fatto, portare ad effetti negativi dal punto di vista della politica sia sanitaria che industriale. L’intervento di Eleonora Mazzoni, direttrice dell’area innovazione dell’Istituto per la Competitività (I-Com)

La notizia del blocco che sarebbe stato operato all’aeroporto di Fiumicino dall’Agenzia delle Dogane per una spedizione di vaccini contro la meningite prodotti da GlaxoSmithKline (GSK) riapre un tema che in Italia non smette mai di essere d’attualità: ossia, il nostro rapporto con le multinazionali e le imprese in generale delle quali, spesso e volentieri, sembra non ci interessi poi tanto.

Ma andiamo con ordine. Attualmente GSK non produce alcun vaccino approvato contro il Covid-19 ma è impegnata insieme a Sanofi nell’inizio di un nuovo studio di fase 2 per selezionare il dosaggio dell’antigene più appropriato per la valutazione di fase 3 di un vaccino candidato contro il Coronavirus. La spedizione bloccata, soprattutto laddove i sospetti si rivelino infondati, potrebbe quindi rivelarsi un danno collaterale in una lotta sempre più aspra per le scarse forniture di vaccini nell’Unione e contribuire a ridurre ancora di più la già scarsa fiducia delle multinazionali nei confronti del sistema Italia.

La questione relativa all’approvvigionamento dei vaccini contro il Covid-19 sta sempre più assumendo tinte in chiaroscuro. L’Italia è stato il primo Paese europeo ad applicare il nuovo regolamento approvato lo scorso 30 gennaio 2021 da Bruxelles, per controllare la spedizione dei vaccini fuori dai confini europei. In linea con la nuova normativa, lo scorso 5 marzo l’Italia ha inviato in Europa una proposta di divieto all’autorizzazione all’export di una partita di dosi del vaccino AstraZeneca, infialate presso lo stabilimento di Anagni, con il parere favorevole della Commissione. Già questa mossa, seppur legittima, rischiava di esasperare le tensioni globali facendo salire il prezzo dei vaccini, e di innescare una guerra di veti all’export con possibili effetti indesiderati sulla stessa Unione. Il 24 marzo, la Commissione guidata da Ursula von der Leyen ha adottato una revisione del meccanismo per l’autorizzazione all’esportazione dei vaccini, aggiungendo la reciprocità e la proporzionalità tra i criteri da valutare per il via libera. Le domande saranno valutate caso per caso, ma l’obiettivo è che le richieste di export non costituiscano una minaccia per la sicurezza dell’approvvigionamento dell’Ue.

Il blocco dell’export del lotto di vaccini contro la meningite di GSK all’aeroporto di Fiumicino stride però con le ultime decisioni prese a livello europeo e rischia di essere un segnale di eccessiva sfiducia nei confronti delle aziende farmaceutiche. Su queste ultime, non dimentichiamoci, tutto il mondo sta facendo affidamento per la produzione dei vaccini Covid-19, unica reale e rapida soluzione ad una crisi sanitaria globale che ha portato con sé una crisi economica di profondità senza precedenti. Inoltre, il potenziamento della competitività dell’industria farmaceutica all’interno dell’Ue in termini di attrazione di investimenti produttivi e in ricerca e sviluppo è punto cardine della nuova strategia farmaceutica Ue approvata a novembre del 2020. Insomma, il sistema europeo sta lavorando per rafforzare la sua capacità di attrarre e conservare gli investimenti di queste aziende al suo interno, in modo da consentire un approvvigionamento meno dipendente dall’estero, e non per introdurre altre ragioni che allontanino tali aziende dai nostri territori.

Peraltro, la vaccinazione contro la meningite ha subito in tutto il mondo una battuta d’arresto molto intensa che potrebbe influenzare negativamente l’evoluzione della morbilità di questa patologia, come nel caso di molte altre malattie, a seguito dell’epidemia da Covid-19. Proprio per rispondere alla richiesta globale di prevenzione contro questa malattia, la stessa GSK ha investito in Italia nella creazione di un centro di controllo qualità hi-tech, inaugurato il 28 marzo 2019 a Rosia (Siena), dove la multinazionale britannica già possedeva il polo mondiale di produzione dei vaccini, e in cui lavorano più di 2.000 persone. A questo investimento, 42 milioni di euro, si è aggiunto un secondo importante investimento nel dicembre 2020 pari a 18 milioni di euro, per realizzare un programma di ammodernamento delle tecnologie e dei processi manifatturieri di una delle componenti del vaccino contro il meningococco B, denominata Omv (Outern Membrane Vesicles). I lavori partiranno nel 2021 e dureranno due anni circa. Il sito fa inoltre parte del network globale destinato ad infialare e confezionare l’adiuvante pandemico GSK, utilizzato in alcuni dei vaccini candidati ed in via di sviluppo contro il Covid-19.

Il nostro sistema Paese non è mai stato un esempio di attrattività nei confronti degli investimenti dall’estero, ed anzi la sua macchina amministrativa e della giustizia, i tempi di attuazione e le infrastrutture spesso carenti contribuiscono da sempre a scoraggiare le imprese, straniere e non, a investire e restare sul nostro territorio. Inoltre la farmaceutica è da anni oggetto di misure di contenimento della spesa, che operano dal lato dell’offerta, e introducono ulteriori ostacoli all’accesso al mercato (si pensi al tanto discusso strumento del payback). Ciononostante abbiamo l’immensa fortuna di ospitare alcuni dei poli produttivi e di ricerca più eccellenti d’Europa, soprattutto per quanto riguarda il comparto farmaceutico, che di fatto ha contribuito a tenere alte le sorti dell’industria italiana anche in tempi di crisi economica. Non è un caso che durante la cosiddetta double-deep recession l’industria farmaceutica in Italia sia stata una delle poche a continuare a garantire investimenti, occupazione e soprattutto un enorme contributo all’export del nostro Paese, che ricordiamo entrare positivamente nel calcolo del nostro Pil.

L’intervento dell’Agenzia delle Dogane dunque porta con sé il rischio di scoraggiare ulteriormente le aziende nei confronti del nostro sistema Paese, introdurre ulteriori gradi di incertezza, e di fatto, portare ad effetti negativi dal punto di vista della politica sia sanitaria che industriale. L’Italia del post-pandemia la potremo costruire solo creando uno solido partenariato tra il pubblico e il privato.


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