Intervista a Roberto Pella, vicepresidente vicario di Anci e deputato di Forza Italia: “Ai sindaci abbiamo dato le risorse da spendere e in prospettiva il personale necessario affinché ciò accada con efficienza, adesso però bisogna intervenire sulle regole e accelerare il percorso riformatore”
Il successo del Piano nazionale di ripresa e resilienza passa anche, o soprattutto, dal lavoro che le amministrazioni territoriali, e i comuni in particolare, saranno in grado di realizzare da qui ai prossimi mesi e ai prossimi anni. Ma attenzione: bisogna agire rapidamente sul fronte degli strumenti, in modo che siano davvero messi nelle condizioni di svolgere il ruolo fondamentale che compete loro in questa fase fondamentale.
Ne è convinto Roberto Pella, vicepresidente vicario di Anci, deputato di Forza Italia e capogruppo in commissione Bilancio di Montecitorio, che in questa conversazione con Formiche.net sui passi già compiuti in quest’ottica e su quelli rilevantissimi che ancora rimangono da fare. “Ai sindaci abbiamo dato le risorse da spendere e in prospettiva il personale necessario affinché ciò accada con efficienza, adesso però bisogna intervenire sulle regole e accelerare il percorso riformatore”, ha affermato Pella, che sotto questo profilo ha riservato a Mario Draghi chiare parole d’elogio: “Ha capito che ai comuni deve essere riservato un ruolo fondamentale in questa partita strategica”.
Secondo il vicepresidente vicario di Anci, “se l’Italia vuole rispettare le scadenze del 2026, non può affidarsi solo ai ministeri, ma ha bisogno dei sindaci”. D’altronde – ha ricordato il deputato azzurro – “come ha affermato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, i comuni sono il terminale più esposto e sensibile della Repubblica, perché sono i primi a essere raggiunti dai bisogni più immediati e più urgenti”.
Pella, come arrivano i comuni a questa sfida così importante? Come se la passano in questa fase?
Innanzitutto possiamo dire che ci arriviamo forti di quanto ottenuto con la recente legge per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, di cui sono stato peraltro relatore, che è intervenuta per sanare una situazione difficilissima.
Quale situazione?
Quella nella quale hanno versato troppo a lungo i comuni italiani dal punto di vista del personale. In questi ultimi vent’anni c’è stata una contrazione del 29% del numero dipendenti la cui età media raggiunge i 53 anni, mentre le risorse destinate alla formazione si sono ridotte di oltre il 50%.
Dunque, una situazione di partenza affatto positiva anche considerando la sfida del Recovery Fund. Non è così?
Assolutamente no. Per come eravamo messi, era impensabile che potessimo svolgere con successo il ruolo da protagonisti che il Pnrr ci assegna. Ma anche le funzioni primarie che ci sono state attribuite. Tenga conto che ormai il 25% del totale degli investimenti pubblici passa dai comuni: stiamo insomma parlando di un’azionista il cui peso è fondamentale.
Il governo Draghi ha riconosciuto questa vostra rilevanza?
Ne sono convinto. Basta guardare i numeri del Pnrr, d’altronde: i comuni sono stati chiamati a spendere direttamente tra i 30 e i 50 miliardi di euro. Non mi pare affatto poco. Anzi.
E poi?
Appunto è stata prevista la possibilità di dar luogo a un importantissimo piano straordinario di assunzioni che ci consentirà di inserire all’interno delle nostre amministrazioni nuove energie e nuove competenze necessarie affinché il Pnrr abbia successo. Un passaggio assolutamente chiave.
Di che numeri stiamo parlando orientativamente? E di quali professionalità?
Complessivamente, direi che parliamo circa di 30, 35.000 persone. Lato competenze, invece, cerchiamo soprattutto lavoratori specializzati nella progettazione e nella rendicontazione. All’Europa non basta che l’Italia progetti e realizzi gli interventi previsti: occorrerà anche rendicontare nel dettaglio le spese sostenute.
Quali sono, a suo avviso, le ragioni di questo approccio da parte del presidente del Consiglio?
Credo sia innanzitutto genuinamente convinto che i comuni, le province e le regioni costituiscano una parte fondamentale del nostro ordinamento giuridico, da valorizzare in tutti i principali processi decisionali che interessano il Paese.
Il secondo motivo invece?
Da grande conoscitore della macchina burocratica, qual è, Draghi era ben consapevole fin dall’inizio della necessità di coinvolgere il più possibile le amministrazioni territoriali nel processo di spesa dei fondi del Pnrr. Se si fosse affidato solamente ai ministeri, avremmo davvero corso il rischio di non riuscire a investire nel modo migliore queste risorse.
Perché ne è così convinto?
Perché è da anni, se non decenni, che i comuni custodiscono nei loro cassetti progetti di messa in sicurezza e sviluppo del territorio pienamente in linea con gli obiettivi del Pnrr. Ora si tratta di realizzarli per rispondere alle esigenze dei cittadini.
Ad esempio per fare cosa?
Penso ai progetti di rigenerazione urbana nei comuni o raggruppamenti di comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti per i quali sono stati stanziati 3,4 miliardi di euro. Sono contento da questo punto di vista che, in occasione della discussione sulla legge di Bilancio per il 2022, sia stato approvato un ordine del giorno a mia prima firma che impegna il governo a stanziare altri 900 milioni in tal senso.
Passare dal dire al fare, però, non è così semplice, soprattutto in un Paese come l’Italia ad altissimo tasso di complicazioni burocratiche. Ad esempio, vi preoccupa la normativa sui contratti pubblici?
Certamente, rappresenta una delle grandi questioni aperte ancora sul tavolo. Gli enti locali e le regioni hanno urgente bisogno di regole più semplici per riuscire a spendere bene e nei tempi previsti le risorse che il Pnrr attribuisce loro.
La roadmap indicata dal governo per l’approvazione del nuovo codice prevede però la data limite del 30 marzo 2023. Come la mettiamo?
E infatti chiediamo che questo crono-programma venga in qualche modo rivisto o che, comunque, si pongano in essere già da ora i correttivi necessari a sveltire le procedure di competenza delle amministrazioni territoriali. Anche perché, come Anci, abbiamo garantito al governo di chiudere i progetti e poi di aggiudicarli al massimo entro i primi mesi dell’anno prossimo. Dobbiamo accelerare.