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Perché la crisi del grano può causare instabilità politica nel Nord Africa

Di Maria Spena
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L’impatto della guerra in Ucraina sulla povertà a livello globale e gli equilibri geopolitici nel Mediterraneo. L’intervento di Maria Spena, deputata di Forza Italia e vicepresidente della commissione Agricoltura della Camera

David Beasley, direttore esecutivo del World Food Programme, ha lanciato l’allarme: quanto sta avvenendo in Ucraina può provocare “una catastrofe alimentare di portata globale” dal momento che l’agenzia Onu, che dava da mangiare a 125 milioni di persone prima del 24 febbraio, ha dovuto iniziare a tagliare le razioni a causa dell’aumento di cibo e carburante e le spese di spedizione per milioni di famiglie in tutto il mondo. Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Beasley ha spiegato che l’Ucraina è passata dall’essere “il granaio del mondo” ad avere bisogno essa stessa di pane: era ucraino, infatti, il 50% del grano acquistato dal WFP per i Paesi con maggiore necessità.

Lo stop alle esportazioni di grano dall’Ucraina andrà a gravare soprattutto su Paesi dove è già diffusa la povertà tra la popolazione e alle prese con una grave crisi politica: pensiamo, ad esempio, al Libano che importa il 74% di grano ucraino o allo Yemen che ne importa il 22%.

Ma anche Paesi come l’Egitto (il 30%), la Libia (43%) e la Tunisia (47,7%) sono grandi importatori di grano ucraino e nel passato – anche recente – sono stati spesso teatro di rivolte popolari causate proprio dall’aumento dei prezzi del pane.

Questi Paesi del Nord Africa sono tra le principali terre d’origine e di transito dei flussi migratori verso l’Italia che, in caso di peggioramento dell’instabilità politica interna, sarebbero destinati ad aumentare ulteriormente. Dunque, di fronte alla crisi del grano generata dal conflitto in Ucraina, abbiamo il dovere di lavorare per raggiungere al più presto l’autosufficienza alimentare a livello europeo, ponendo il tema della creazione di un sistema di stoccaggio comune di cereali e semi oleosi all’interno dell’Ue. Al tempo stesso, non dobbiamo sottovalutare gli effetti che essa può scatenare in Paesi con larghe fasce di povertà tra la popolazione o a rischio instabilità politica e dove il pane è alla base dell’alimentazione.

Questi Paesi non vanno lasciati soli ad affrontare quella che, secondo il direttore esecutivo del WFP, potrebbe diventare la “peggiore crisi alimentare dalla seconda guerra mondiale”. Non dimentichiamo che le cosiddette “primavere arabe”, all’origine del fenomeno migratorio senza precedenti verso l’Europa dell’ultimo decennio, furono precedute tra fine 2010 e inizio 2011 da una fase contraddistinta dalle rivolte del pane causate proprio dall’aumento dei prezzi di questo bene vitale.

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