I dati e i fatti più recenti sembrano confermare il disperato bisogno della Cina di aggirare a tutti i costi il contenimento tecnologico americano. Le importazioni di chip hanno per lungo tempo superato, in valore, quelle di petrolio suggerendo un cambio di paradigma per l’industria cinese, ormai sempre più votata alla manifattura di prodotti high-tech. Ecco tutti i numeri
La guerra dei chip è il tema destinato a dominare la geopolitica internazionale nei prossimi anni. La rilevanza dei semiconduttori, e delle aziende coinvolte nella complessa supply chain, li ha naturalmente visti al centro del dibattito anche durante le giornate di Davos, al World Economic Forum (Wef).
In una discussone con il padrone di casa, Klaus Schwab, fondatore del Wef, l’amministratore delegato di Intel, Pat Gelsinger, ha discusso l’impatto delle sanzioni americane contro la Cina. Gli Stati Uniti hanno di recente aggiornato i controlli sull’export per includere tecnologie sofisticate per la produzione di chip e vietare alle aziende americane, come ARM o Nvidia, di vendere ai clienti cinesi i microprocessori più performanti, come l’H100 e l’A100 dell’azienda di Jensen Huang – guru dei chip per l’intelligenza artificiale (IA), ha di recente fatto visita agli uffici dell’azienda in Cina dopo cinque anni e che non ha mai nascosto la sua perplessità sull’efficacia delle misure americane di tagliare fuori Pechino dall’accesso ai chip IA – o a produttori come Tsmc di vendere chip avanzati ai clienti cinesi.
Secondo Gelsinger, la crociata americana e di altri Paesi alleati (come Olanda e Giappone) per contrastare l’ascesa cinese nell’industria dei semiconduttori e la sua abilità di produrre autonomamente chip avanzati starebbe funzionando. Ora la Cina, a detta del ceo di Intel, è dieci anni indietro agli Usa e sarà destinata a rimanerci per il futuro prossimo. Dichiarazioni molto lapidarie che dicono molto dell’allineamento di Gelsinger con l’amministrazione americana sul dossier. Intel, d’altro canto, ha ricevuto copiosi incentivi dal governo federale, tramite lo Us Chips Act, per aumentare le sue capacità di produzione domestica di semiconduttori, investendo $20 miliardi in Ohio per una nuova fonderia e potenziando quella esistente in Arizona, oltre a quella già operativa a Santa Clara, in California.
Gelsinger ha dichiarato che uno dei principali impedimenti per la Cina di scalare le gerarchie nell’industria, in un’ottica di maggiore sovranità tecnologica, è l’incapacità di produrre in autonomia macchinari litografici avanzati e di vecchia generazione. Un segmento di mercato attualmente dominato dall’olandese Asml, dalle americane Applied Materials, KLA Corporation e Lam Research e infine dalla giapponese Tokyo Electron che collettivamente godono di quasi l’80% del mercato. Le aziende cinesi per un misero 2% secondo i dati della Semiconductor Industry Association (SIA).
Le sanzioni americane sono andate a colpire proprio in questa direzione, soprattutto dopo la scoperta che il produttore di chip cinese Smic, in partnership con Huawei, era riuscito a realizzare un microprocessore a 7 nanometri con l’utilizzo di macchinari a immersione (Duv) seppur non in scala industriale. Senza l’accesso ai macchinari Euv che consentono processi produttivi sotto i 5 nanometri – di cui Intel ha ricevuto, da Asml a inizio gennaio, il macchinario di ultima generazione Twinscan EXE:5000 High-NA, ordinato nel 2018 e pronto ad essere impiegato nel segmento foundry dell’azienda a partire dal 2025 nel sito in Oregon, dal costo complessivo di oltre $300 milioni – la Cina sarà stoppata tra i 10 e i 7 nanometri, sotto i quali è possibile ambire a microprocessori in grado di sostenere la capacità computazionale per il training dei sistemi IA.
Allo stato attuale, Intel punta a correre verso i 2 nanometri, una tappa già raggiunta da Tsmc, attraverso il passaggio intermedio dei 4 nanometri. Per un paragone, Samsung aveva raggiunto volumi di produzione a 7 nanometri nel 2018, un’epoca fa considerando che nel frattempo la pandemia, la guerra in Ucraina e l’acuirsi delle tensioni geopolitiche tra Washington e Pechino hanno sconvolto l’intera industria dei semiconduttori. Secondo Gelsinger, infatti, seppur sembri dimostrare comunque una notevole capacità innovativa il problema della Cina rimane quello di ricreare una supply chain che possa dimostrarsi funzionale alle sue necessità: in questo momento, considerando l’embargo high-tech degli Usa, ricreare un player domestico per ovviare al suo tallone d’Achille. Un’Asml cinese non esiste, e qualora vi fosse dovrebbe avere accesso a materiali, foto maschere giapponesi e software avanzati americani: tutto quello che al momento è inaccessibile per Pechino.
I dati e i fatti più recenti sembrano confermare il disperato bisogno della Cina di aggirare a tutti i costi il contenimento tecnologico americano. Secondo Bloomberg, le industrie cinesi di chip hanno effettuato ordinativi per oltre $40 miliardi per equipaggiamento per la produzione di semiconduttori nel 2023, con una crescita del 14% rispetto all’anno precedente. Si tratterebbe di un picco registrato solo nel 2015. Figure che si scontrano, invece, con uno storico tonfo nelle importazioni di chip nello stesso periodo, con una decrescita in volumi del 10.8% sempre secondo dati Bloomberg. Cifre surrogate anche dalle statistiche ufficiali cinesi, come mostrato nella Figura qui sotto, e che vedono in costante aumento le importazioni di macchinari e dispositivi avanzati.
Le importazioni di chip hanno per lungo tempo superato, in valore, quelle di petrolio suggerendo un cambio di paradigma per l’industria cinese, ormai sempre più votata alla manifattura di prodotti high-tech. Ma come mostrato su queste colonne, Pechino ora dispone di una capacità produttiva ai nodi meno avanzati, ma per questo non meno strategici, potenzialmente in grado di mettere fuori mercato i rivali esteri qualora le aziende cinesi riversassero i loro prodotti sui mercati internazionali. Capacità produttive (foundry) che richiedono un sempre maggior numero di dispositivi per incidere microprocessori e microcontrollori sui wafer di silicio.
Già a novembre, in seguito all’annuncio del Dipartimento del Commercio del nuovo round di restrizioni, le importazioni di sistemi litografici in Cina sono aumentate del 1000%, con i produttori nazionali che hanno fatto di tutto per procurarsi i macchinari necessari a fabbricare chip avanzati. Un obiettivo prioritario per il governo cinese, soprattutto ai nodi più avanzati (tra i 7 e 10 nanometri, seppur rimane incerto se le aziende cinesi, come Smic riusciranno a raggiungere volumi di produzioni industriali). Questa impennata di ordini prima che i controlli sull’export entrassero pienamente in vigore indica che i fornitori domestici non sono in grado di sostituire molti tipi di attrezzature straniere. Inoltre, rimane comunque difficile stimare il tasso di autosufficienza, soprattutto per una supply chain così complessa e considerando che molte aziende di chip, come Samsung e SK Hynix che producono principalmente chip di memoria (fuori dal presidio del Bureau of Industry and Security americano, che guarda invece ai chip logici), possiedono fonderie in Cina e contribuiscono al fabbisogno nazionale.
La domanda cinese di macchinari ha trainato gli ordinativi di Asml nell’ultimo trimestre, diventando il mercato di riferimento per l’azienda olandese con il 39% delle vendite dall’8% registrato tra gennaio e marzo del 2023. Le spedizioni sono aumentate dai $260 milioni di dollari di luglio, a $710 milioni ad agosto e $1.3 miliardi a settembre. Secondo le stime della dirigenza, le nuove restrizioni americane – entrate in vigore già a settembre, ma con una finestra temporale accordata all’azienda dalle autorità americane fino al 1 gennaio 2024 – andranno ad impattare su circa il 15% di prodotti precedentemente commerciati con le aziende cinesi, come i dispositivi DUV di vecchia generazione per i quali Asml aveva concordato spedizioni per tre macchinari per poi doverli bloccare su pressione del Dipartimento del Commercio statunitense.
La migliore macchina litografica della Cina è finora in grado di processare semiconduttori solo a 90 nm, ben lontani dai 7 nanometri del microprocessore assemblato nello smartphone di Huawei nonostante gli annunci di un breaktrough dell’azienda cinese Smee per un macchinario a 28 nanometri. Tuttavia, l’ecosistema cinese rimane indietro anche per la produzione autonoma e avanzata di dispositivi per l’incisione dei wafer (etching) e di deposizione, dominati dai produttori americani e giapponesi. Questo segmento, dunque, rimane il collo di bottiglia principale per Pechino nel perseguire l’autonomia tecnologica per la fabbricazione di chip avanzati.