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Gaza, dall’Italia sostegno alla ricostruzione e a due Stati (senza Hamas)

Dal Gruppo di Madrid all’informativa di Tajani: si consolida la postura italiana tra fermezza umanitaria e continuità diplomatica. Hamas fuori dalla soluzione a due Stati, ma Netanyahu accetti un decondlicting e l’avvio di un percorso politico-diplomatico

La riunione del Gruppo di Madrid allargato, convocata domenica per affrontare la crisi a Gaza, ha rappresentato l’ultimo tassello pubblico nella costruzione della linea italiana sul conflitto israelo-palestinese. A intervenire, in rappresentanza del governo di Roma, è stata la sottosegretaria Maria Tripodi, su delega del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che a sua volta mercoledì andrà in audizione alla Camera per un’informativa urgente sulla situazione nella Striscia — che con la nuova ondata di invasione israeliana sta diventando sempre più problematica dal punto di vista umanitario.

I Paesi aderenti al cosiddetto “Gruppo di Madrid +” hanno chiesto l’attuazione della soluzione a due Stati, Israele e Palestina, un immediato cessate il fuoco, la liberazione di tutti gli ostaggi e l’acceso degli aiuti umanitari a Gaza. L’obiettivo è il raggiungimento di un’intesa politica in Medio Oriente, in vista della Conferenza di Alto Livello che si terrà a New York il prossimo mese, promossa da Francia e Arabia Saudita, a cui prenderà parte anche l’Italia.

“È fondamentale che la comunità internazionale si mobiliti per promuovere una soluzione pacifica del conflitto in Medio Oriente” ha dichiarato Tripodi, aggiungendo che “il governo italiano sostiene pienamente la soluzione a due Stati e a favore del piano arabo per la ripresa e la ricostruzione di Gaza, volto a favorire la pace e la stabilità nell’intera regione”. La sottosegretaria ha anche ricordato l’impegno italiano rispetto alla situazione umanitaria a Gaza attraverso il programma “Food for Gaza”, che ha già mobilitato 35 milioni di euro, più di 100 tonnellate di alimenti e forniture mediche a sostegno della popolazione civile.

Nei giorni scorsi, Tajani ha avuto un colloquio telefonico con l’omologo israeliano, Gideon Ssar. Al centro, la richiesta italiana di riaprire gli accessi umanitari verso Gaza, bloccati da oltre 70 giorni. Israele ha accolto la richiesta, sbloccando parzialmente le forniture in attesa nel porto di Ashdod — il rischio è che il blocco degli aiuti, che porta a condizioni esasperate, possa configurarsi in pratiche di guerra al di fuori delle convenzioni internazionali. Il governo italiano conta sulla collaborazione di Israele per rilanciare il progetto Food for Gaza, ribadisce il sostegno a Israele nel contrasto al terrorismo, ma ha anche chiesto una maggiore tutela per la popolazione palestinese.

Negli ultimi giorni, i toni del governo si sono fatti più espliciti seguendo uno schema che non tocca solo Roma, ma diverse capitali occidentali — per prima Washington, che vuole la fine dell’orrore a Gaza “il prima possibile”. “Dobbiamo dire al governo israeliano basta. La reazione c’è stata: garantite la vostra indipendenza e sicurezza, ma arriviamo alla pace”, ha dichiarato Tajani nei giorni scorsi. Un messaggio ribadito anche dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni: il punto è che “proprio perché siamo amici di Israele non possiamo restare indifferenti a quanto accade a Gaza”, perché la situazione è sempre “più drammatica e ingiustificabile”, per utilizzare le parole usate recentemente dalla premier alla Camera.

Un cambiamento percepibile anche dalla netta presa di posizione di fronte all’episodio di Jenin, dove l’esercito israeliano ha sparato in direzione di una delegazione diplomatica — che includeva anche un rappresentante italiano, il vice console a Gerusalemme, Alessandro Tutino. “Chiediamo al governo di Israele di chiarire immediatamente l’accaduto.Le minacce contro i diplomatici sono inaccettabili”, aveva pubblicamente commentato Tajani.

L’intervista rilasciata al Messaggero la scorsa settimana ha consolidato questo cambio di registro, affidato direttamente al vicepremier e titolare della Farnesina, ma condiviso da Palazzo Chigi — anche nell’ottica ampia di non abbandonare la posizione pro-israeliana, ma far percepire consapevolezze e sensibilità a un mondo come quello arabo di cui l’Italia intende essere sempre più partner, dal Medio Oriente all’Africa. “I bombardamenti devono fermarsi, serve un cessate-il-fuoco immediato”, dice Tajani al quotidiano romano, aggiungendo che Hamas deve liberare gli ostaggi — catturati durante il macabro assalto del 7 ottobre 2023, che ha aperto l’attuale stagione di guerra — e uscire da Gaza. “L’unico attore che riconosciamo è l’Autorità nazionale palestinese”, dice Tajani.

Domanda: “Condannate [il primo ministro israeliano, Benjamin] Netanyahu?”. Risposta: “Il dissenso italiano è nei fatti. Netanyahu deve fermare i raid sulla Striscia e ripristinare gli aiuti umanitari. Abbiamo votato la risoluzione dell’Oms che chiede di terminare l’emergenza sanitaria a Gaza. È fondamentale che le condizioni sanitarie rispettino gli standard internazionali e anche di questo stiamo discutendo con Israele”.

Le opposizioni accusano il governo di restare in silenzio, ma l’esecutivo respinge le critiche. L’Italia sostiene la soluzione proposta dall’Egitto e dai Paesi arabi per ricostruire la Striscia senza sfollare la popolazione. Quanto all’ipotesi di trasferimenti forzati, Tajani dice che “la deportazione non è un’opzione”, ricordando tra l’altro che “nessun Paese arabo la accetterebbe” — e in effetti la regione aveva reagito in modo molto severo alla proposta della “Riviera di Gaza” avanzata da Donal Trump.

La posizione italiana, pur con toni oggi più netti, segue una traiettoria coerente sin dall’inizio della crisi. Già a febbraio 2024, Tajani aveva protetto la posizione di Israele, il quale “ha subito un attacco che ha ricordato la caccia all’ebreo della Gestapo […] con scene di violenza che forse neanche le SS hanno raggiunto”. Il ministro italiano sosteneva anticipatamente che quanto accaduto avrebbe dovuto “provocare una reazione giusta contro i terroristi di Hamas ma tenendo presente che il popolo palestinese non è Hamas e Hamas non è il popolo palestinese, una reazione che permetta comunque alla popolazione civile di essere in qualche modo protetta”. A distanza di oltre un anno da queste parole, con le vittime civili che hanno probabilmente superato quota cinquantamila — anche perché Hamas usa la popolazione come scudo e perché Israele ignora alcuni aspetti umanitari — parlare di una “proporzionalità nella reazione” appare ormai quasi superfluo.

In questa cornice si colloca la la linea del governo, confermata da fonti qualificate: il futuro Stato palestinese dovrà riconoscere Israele ed essere riconosciuto da Israele, con il sostegno alla formula dei due Stati rimane il pilastro politico per la risoluzione della questione, ma viene esplicitamente legato alla delegittimazione di Hamas e a un percorso negoziale che eviti soluzioni unilaterali o dimostrative. Percorso che per partire ha bisogno di uno stop alle armi, al recupero di condizioni di vita umane, “alla fine dell’uso della guerra e della crisi a sostegno di diretti interessi di entrambi i lati”, dice una fonte.

La postura italiana si definisce così in quattro punti: generale condanna del terrorismo e nello specifico quello palestinese di Hamas (e altri gruppi minori); difesa del diritto di Israele alla sicurezza; richiesta di tutela per i civili palestinesi e di un cessate il fuori strutturato; da qui parte la promozione di un percorso verso una soluzione politica a due Stati. Una linea che si muove tra l’alleanza strategica con lo Stato ebraico e l’esigenza di non rimanere silenti di fronte a una crisi umanitaria che Meloni vede come “drammatica e ingiustificabile”. Messaggio comunicato in modo informale anche al ministro israeliano degli Affari strategici, Ron Dermer, passato nei giorni scorsi da Roma con il capo del Mossad, in occasione dei colloqui tra Usa-Iran per il nucleare iraniano.


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