La Polonia del 2025 è quasi irriconoscibile rispetto al Paese che uscì dal collasso dell’impero sovietico. Il restyling degli edifici e la crescente assertività di Varsavia rispetto alla Russia sono solo un aspetto dei cambiamenti che hanno portato quello che una volta era un attore centrale del blocco socialista a diventare un protagonista della politica europea. Ecco la seconda parte di un reportage in tre puntate dalla Polonia: il racconto di un viaggio ai confini dell’Europa tra deterrenza, disinformazione e sicurezza comune
Nel centro di Varsavia si erge ancora oggi il Palazzo della cultura e delle scienze, un edificio che unisce i toni architettonici del gotico e del brutalismo sovietico, costruito negli anni 50 come simbolo del rapporto tra il popolo sovietico e quello polacco.
“Il regalo di Stalin”, come viene ironicamente definito dai locali, risulta quasi fuori posto nella moderna capitale polacca. Intorno alle guglie del Palazzo si affollano grattacieli di vetro e acciaio, mentre in tutta la città ruspe e cantieri portano avanti l’ormai ultratrentennale opera di de-sovietizzazione degli edifici e degli spazi pubblici.
In poco più di tre decenni, la Polonia ha realizzato il processo di modernizzazione più impressionante dell’area post-sovietica. Oltre a essere ufficialmente diventata la ventesima economia globale, le proiezioni più recenti sulla crescita segnalano che, a questo ritmo, Varsavia dovrebbe raggiungere i livelli attuali di Pil pro capite della Germania entro il 2030.
Per i polacchi, queste stime rappresentano una conquista identitaria, ancor prima che economica. Parlando con i locali, la comparazione tra i tempi pre-1991 e quelli di oggi emerge come ragione di orgoglio per un Paese che è consapevole di trovarsi in una fase di ascesa economica che, inevitabilmente, si sta traducendo anche in una sempre maggiore rilevanza politica e strategica. Il sentimento anti-russo è palpabile, principalmente in relazione al passato comunista del Paese e a quelli che i polacchi chiamano “i tempi della fame”. Parimenti, la Polonia è vista da molti Stati vicini come un modello da imitare, sia in relazione all’emancipazione dalla Russia sia riguardo all’integrazione con l’Unione europea e i valori occidentali.
A sua volta, la Polonia fa leva su questa consapevolezza per rispondere alla disinformazione russa anche al di là dei propri confini. È così che in seno alla Tvp (Telewizja Polska), la televisione pubblica dedicata alla diaspora polacca (particolarmente attenta nei confronti dei giovani), sono nati tre canali specificamente rivolti all’estero.
Nell’edificio della Tvp, a poca distanza dal Palazzo della cultura, si realizzano anche contenuti in lingua russa, bielorussa e ucraina. Queste redazioni impiegano attivamente giornalisti polacchi, ucraini e bielorussi e trasmettono per 6 ore al giorno (16 ore al giorno, a partire dal prossimo marzo) servizi che hanno l’obiettivo di fornire un’alternativa all’informazione dei media russi, basata su rigorose procedure di fact-checking.
Se in Ucraina e in Russia i giornalisti della Tvp riescono a lavorare in modo relativamente agevole, in Bielorussia il regime di Aleksandr Lukashenko contrasta la loro attività con ogni mezzo a disposizione. Diversi reporter e giornalisti sono tutt’ora detenuti nelle carceri bielorusse, a volte con la sola accusa di aver messo like a un post giudicato sovversivo dalle autorità. A raccontare queste storie è un giornalista bielorusso di Belsat TV, il canale dedicato ai contenuti in lingua bielorussa.
“Questo lavoro non è solo per fornire un’informazione corretta ai cittadini bielorussi, ma anche per proteggere la stessa lingua bielorussa”, ci racconta. Il regime di Minsk è infatti il primo promotore dell’utilizzo della sola lingua russa all’interno del Paese, uno strumento potente e storicamente centrale per l’influenza di Mosca sull’Est europeo. Quando gli viene chiesto da quanto tempo non torna nel proprio Paese, il giornalista, visibilmente emozionato, si prende un momento per ricomporsi e ci spiega che non mette piede in Bielorussia dal 2020, quando le proteste contro Lukashenko hanno portato le autorità rafforzare sensibilmente le misure repressive. “Non quest’anno, ma nel 2026 qualcosa succederà, la situazione cambierà”. Non è chiaro sulla base di quali assunti il giornalista faccia questa affermazione, cionondimeno a colpire è la determinazione con cui ripete più volte il concetto. Meno di una previsione, ma anche qualcosa più di una speranza.
La Tvp è solo uno degli esempi della risposta polacca alla disinformazione russa. Sul piano governativo, il ministero degli Esteri ha costituito un Consiglio nazionale per la resilienza che include istituzioni, privati e Ong. Obiettivo del Consiglio è quello di perseguire un approccio whole-of-society per mettere al riparo il sistema-Paese dalle ingerenze russe. Tale obiettivo viene perseguito tramite una struttura specificamente dedicata alla contro-disinformazione che favorisce dibattiti tra accademia e società civile e tiene traccia delle attività riconducibili alla Dezinformatsiya di Mosca. Sono gli stessi funzionari di questa struttura ad avvertire sui propositi futuri della Russia. “Avevamo avvertito che sarebbe successo qualcosa in Ucraina e poi qualcosa (l’invasione, ndr.) è successo”, affermano. “Anche adesso avvertiamo: la Russia non si fermerà”, ribadiscono. Secondo i funzionari, la Russia usa la narrativa dell’accerchiamento e del ritorno alla situazione del 1991 come scusa per legittimare le sue azioni e per nascondere i suoi piani futuri. “La Russia non vuole il ritorno dello status quo, vuole distruggere l’Europa”. Se per distruzione dell’Europa si intenda un attacco vero e proprio al continente o, piuttosto, una compromissione fatale del progetto comunitario, non è chiaro. Ma l’avvertimento rimane lo stesso, e viene ripetuto da più di una fonte: “La minaccia è reale”.
Per questa ragione, la cornice europea rimane la prima priorità per Varsavia. “La sicurezza europea è il nostro obiettivo comune”. Anche per questo in Polonia si fatica a comprendere la prospettiva di alcune opinioni pubbliche occidentali dove la narrativa pro-Russia riscontra un discreto seguito. “Ci preoccupa il fatto che qualcuno sia più incline a credere alla Russia che a degli Alleati”, confessano i funzionari. Eppure, la Polonia comprende che, soprattutto in relazione al riarmo e alla difesa, ogni Paese d’Europa abbia priorità e sensibilità differenti. La soluzione, affermano, è concepire che ogni fronte rappresenta un aspetto diverso dello stesso obiettivo – la sicurezza dell’Europa – tanto sul Fianco Orientale quanto su quello Meridionale. L’empatia con l’Italia, che una crisi migratoria la conosce da tempo, porta i polacchi a riconoscere l’importanza di un approccio più europeo alla gestione dei flussi. Flussi che, raccontano dei funzionari, sono in parte condizionati anche dall’azione dei proxy di Mosca, come le compagnie mercenarie e la chiesa ortodossa russa.
Tale consapevolezza si riscontra anche nei piani di Varsavia per il riarmo. “Siamo delle persone pragmatiche, avevamo bisogno di armamenti immediatamente disponibili e pronti all’impiego per innalzare la nostra soglia di deterrenza”, spiega il vice-ministro della Difesa di Varsavia, Paweł Zalewski, quando gli viene fatta notare la grande eterogeneità dei piani di procurement portati avanti dalla Polonia negli ultimi anni. Nel medio termine, tuttavia, “la nostra priorità è rafforzare l’industria europea, attirare investimenti e ridurre il più possibile l’estensione della nostra supply chain”, aggiunge Zalewski.
In questo senso, molte sono le intese con l’Italia, il cui interscambio commerciale con la Polonia nel 2024 si è attestato intorno ai 35-36 miliardi di euro. Le possibili sinergie future tra Roma e Varsavia, in questo senso, abbracciano tutti i principali aspetti del riarmo europeo, dalla difesa aerea alla cantieristica, e forse rappresentano una delle chiavi che consentirà non solo di ridurre la frammentazione industriale del continente, ma anche di creare una visione di politica estera comune in Europa.