È probabile che il conflitto continui ancora a lungo, anche perché la minaccia di Trump di cedere a Kyiv i Tomahawk non potrà avere un risultato definitivo, in quanto non potranno essere impiegati sui principali centri abitati russi. Ma il sostegno interno a Putin non sembra tanto completo come taluni vogliono far credere. Lo dimostra quanto sta avvenendo nell’élite politica russa… L’analisi del generale Carlo Jean
Quella che Putin continua a chiamare “operazione militare speciale” in Ucraina, ha esiti del tutto incerti. All’inizio del conflitto, Putin si proponeva obiettivi molto ambiziosi di annullare l’identità Ucraina e di assorbire l’intero Paese nella “Patria russa”. Voleva cambiare il governo di Kyiv in un governo “fantoccio”, smilitarizzare Ucraina e de-nazificarla, cioè sottoporla a un dominio completo russo della durata di una generazione per eliminare le tradizionali tendenze ucraine all’indipendenza del Paese.
Ha ottenuto risultati del tutto opposti, rafforzando lo spirito di indipendenza ucraina, allontanando da Mosca anche il 17% della popolazione ucraina russofona che in gran parte ha combattuto contro i russi, e rafforzato militarmente l’Ucraina che è divenuta una potenza, sia tecnologica che produttiva, significativa nella nuova arma che domina i conflitti futuri, cioè nella fabbricazione di droni sempre più avanzati.
Analogo errore strategico è stato compiuto dalle potenze occidentali – in particolare dagli Usa di Biden – che sin dall’inizio hanno dichiarato di aiutare l’Ucraina, ma solo per resistere all’attacco russo e non per sconfiggerlo. Il motivo è stato quello di evitare un’escalation. Questo ha impedito agli ucraini una vittoria decisiva nell’ottobre 2022 quando hanno travolto le deboli forze russe nelle zone di Kharkiv e Kherson, recuperando consistenti parti del territorio perduto.
A poco a poco, specie dopo il fallimento nella controffensiva ucraina dell’estate 2023, il conflitto si è trasformato in uno di logoramento, simile a quello della Prima guerra mondiale, condominio delle trincee e delle mine, con fortissime perdite di uomini e mezzi da ambe le parti. A questo i russi hanno aggiunto un attacco sistematico alle risorse energetiche dell’Ucraina, sottoponendo la popolazione a vivere nei rifugi e al freddo.
Putin ha trascurato il fatto che una guerra non può essere risolta da un’offensiva aerea se la popolazione dispone di un elevato grado di resilienza e non si ribella ai suoi governanti decisi a continuare il conflitto.
Questa strategia di attacco aereo alle fonti energetiche non solo elettriche, ma anche di gas, è stata adottata progressivamente dagli ucraini colpendo sempre più in profondità, a mano a mano che si perfezionava la tecnologia dei droni. I disagi che hanno colpito la popolazione russa sono per ora inferiori a quelli subiti dagli ucraini, ma non è così per le finanze russe che si trovano in condizioni di particolare difficoltà e che dipendono, quasi esclusivamente, sulle esportazioni di idrocarburi. Basti pensare che 16 delle 38 raffinerie russe sono state colpite dagli ucraini con la riduzione di oltre il 20% delle capacità di raffinazione russe; costringendo Mosca, addirittura, ad importare benzina per sostenere il suo sforzo bellico.
Determinante per la resistenza ucraina è il supporto finanziario e bellico dell’Occidente. Malgrado le speranze di Putin, sostenute da un’efficace propaganda, specie nei Paesi europei, l’unità dell’Occidente a sostegno della resistenza ucraina non si è modificata. Imprevedibile resta il sostegno degli Usa di Trump, il cui atteggiamento nei riguardi di Putin è oscillato da un quasi completo appeasement – il cui culmine è consistito nel colloquio alla Casa Bianca tra Zelensky e Trump nel febbraio scorso – e la recente affermazione di Trump di voler fornire all’Ucraina – su obiettivi però approvati dagli Stati Uniti – i missili cruise Tomahawk che con la loro gittata di 2.500 km darebbero un colpo molto consistente non solo agli impianti energetici, ma anche a quelli di estrazione di idrocarburi della Siberia settentrionale, mettendo in crisi l’intera esportazione energetica russa.
Sul fronte terrestre, la situazione è sempre più di stallo, nonostante le dichiarazioni di vittoria russa, specie nel fronte di Donetsk, ripetute in modo pappagallesco da parte della stampa occidentale più favorevole a Mosca. Di fatto, di fronte all’enorme entità di perdite subite dalla fanteria russa, sembra che il Cremlino sia intenzionato a ridurre, se non a cessare, gli attacchi alla località di Pokrovsk, punto chiave del quadrilatero difensivo ucraino a protezione di Dnipro e, quindi, delle arterie che consentirebbero alle forze russe di dilagare verso Kyiv.
In definitiva, è probabile che il conflitto continui ancora a lungo, anche perché, ammessa e non concessa, la minaccia di Trump di cedere a Kyiv i Tomahawk non potrà avere un risultato definitivo, in quanto non potranno essere impiegati sui principali centri abitati russi. In tal caso, l’Occidente rischierebbe una probabile escalation. Essa sembrerebbe, di certo, giustificata alle opinioni pubbliche internazionali e rafforzerebbe la convinzione della massa dei russi di un attacco diretto al loro Paese, superando i dubbi avvertibili nella Federazione. Il sostegno a Putin non sembra tanto completo come taluni vogliono far credere. Lo dimostra quanto sta avvenendo nell’élite politica russa. In essa, si verifica da qualche tempo una massa di suicidi, omicidi e sostituzioni nelle principali cariche del regime. Essi sono sicuramente collegati a dissensi o dubbi sull’andamento delle operazioni in Ucraina e alla crisi economica che incombe sulla Russia.