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L’intesa Washington-Riad passa anche dalle terre rare

Gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita avviano una raffineria di terre rare per ridurre la dipendenza da Pechino. Il progetto rafforza Riad come hub dei minerali critici. Segna l’inizio di una nuova fase strategica tra Washington e il Regno

Gli Stati Uniti, MP Materials e l’Arabia Saudita hanno firmato un accordo vincolante per costruire una raffineria di terre rare nel Regno, un progetto che potrebbe ridefinire la geografia globale delle catene del valore critiche. L’intesa, che si inserisce nel quadro della visita a Washington dell’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman, formalizza una joint venture prevista dal nuovo quadro di cooperazione Usa-Arabia Saudita sulle supply chain strategiche firmato a Washington e colloca Riyadh al centro della produzione di ossidi di terre rare leggere e pesanti destinati ai settori industriali e della difesa degli Stati Uniti, del Regno e dei Paesi alleati.

La rilevanza dell’operazione risiede soprattutto nel segmento delle terre rare pesanti, dove la vulnerabilità strutturale statunitense è più evidente. Come osserva la ricercatrice del Csisi Gracelin Baskaran, la Cina ha riconosciuto da tempo questa dipendenza e negli ultimi mesi ha introdotto una serie di restrizioni all’export che hanno costretto Washington a negoziati complessi in Corea del Sud, Regno Unito e Svizzera. Le terre rare pesanti sono componenti essenziali di piattaforme avanzate come gli F-35, i sottomarini Virginia e Columbia, i missili Tomahawk, le tecnologie radar e diversi sistemi di precisione. La loro importanza si estende anche all’ambito civile, dalle apparecchiature medicali alle tecnologie per l’automotive, fino ai sistemi MRI. Ridurre l’esposizione alle decisioni regolatorie di Pechino è ormai parte integrante della sicurezza nazionale statunitense.

La joint venture tra MP Materials, il Dipartimento della Guerra degli Stati Uniti e la compagnia mineraria saudita Maaden risponde direttamente a questa esigenza. La struttura societaria prevede una partecipazione congiunta MP-DoW pari al 49%, interamente finanziata dal governo americano senza ricorso al capitale del gruppo, mentre Maaden deterrà almeno il 51%. MP fornirà competenze tecniche e capacità di separazione maturate nel complesso integrato di Mountain Pass, oltre alla gestione del sourcing internazionale. L’impianto saudita sarà progettato per trattare feedstock locale e materie prime di provenienza globale, producendo quantità significative di ossidi separati utili a filiere industriali e militari statunitensi e alleate. Per Washington, l’accordo si innesta su un partenariato pubblico-privato già avviato per espandere la capacità domestica di raffinazione e di produzione di magneti, mentre per MP rappresenta un ampliamento “capital-light” della sua presenza internazionale e un rafforzamento della propria posizione come piattaforma integrata americana proiettata all’estero.

L’iniziativa coincide con l’ascesa dell’Arabia Saudita come attore emergente nel settore dei minerali critici. Nell’ambito di Vision 2030, il Regno ha accelerato la fase di esplorazione e ha incrementato il valore stimato delle proprie risorse da 1,3 a 2,5 trilioni di dollari negli ultimi anni. L’obiettivo dichiarato è diventare uno dei primi sette Paesi al mondo nella capacità di trasformazione mineraria entro il 2030. Le condizioni strutturali sono favorevoli: costi energetici tra i più bassi al mondo, un quadro regolatorio rapido che consente il rilascio delle licenze in tempi incomparabilmente più brevi rispetto agli Stati Uniti, e una collocazione geografica che rende Riyadh il potenziale hub di trattamento più vicino ai principali Paesi africani che stanno aumentando gli investimenti nelle terre rare. Questa combinazione potrebbe consentire all’Arabia Saudita di diventare un centro di lavorazione non solo delle proprie risorse ma anche di feedstock provenienti da Paesi alleati, contribuendo alla creazione di filiere non dipendenti dalla Cina.

La cooperazione sulle terre rare si intreccia inoltre con l’avanzamento dei negoziati tra Washington e Riyadh nel settore nucleare civile. Le principali aree saudite ricche di terre rare si sovrappongono infatti a giacimenti di uranio, come nel caso di Jabal Sayid, che contiene circa 31.000 tonnellate. L’accordo sul nucleare civile, ora accompagnato dalla prospettiva di un futuro accordo 123, definisce il quadro attraverso cui gli Stati Uniti diventerebbero partner preferenziale della transizione energetica saudita, riducendo al tempo stesso la propria dipendenza dal combustibile nucleare russo. La combinazione di uranio e terre rare rende il comparto minerario saudita un tassello strategico sia per la sicurezza energetica americana sia per gli obiettivi di autonomia industriale del Regno.

Su questo sfondo, la relazione tra Stati Uniti e Arabia Saudita entra in una nuova fase. La logica storica petrolio-per-sicurezza lascia spazio a un paradigma in cui minerali critici, capacità di raffinazione e tecnologie avanzate diventano l’asse di un riallineamento strategico che guarda oltre l’energia fossile. La raffineria di terre rare si inserisce esattamente in questa traiettoria: un progetto industriale ad alta densità geopolitica che consolida l’interdipendenza tra Washington e Riyadh nelle filiere cruciali del prossimo decennio.


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