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Le duellanti Madia e Serracchiani viste da Pizzi. Foto d’archivio

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Debora Serracchiani e Paolo Gentiloni
Debora Serracchiani e Paolo Gentiloni
Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini
Michelangelo Suigo e Debora Serracchiani
Debora Serracchiani
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Debora Serracchiani e Paolo Gentiloni
Debora Serracchiani e Paolo Gentiloni
Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini
Michelangelo Suigo e Debora Serracchiani
Debora Serracchiani

“È in corso una discussione e martedì ci sarà una decisione anche alla Camera. Se una cosa non funziona si aggiusta” perchè il problema sulla parità di genere, anche nel Pd – in dieci anni, “tre congressi e nove segretari, tutti maschi” – è “gigantesto”. Così, nel tardo pomeriggio di ieri, il segretario del Pd Enrico Letta parlava, in un confronto su Facebook, con i segretari dei circoli Dem fiorentini, della scelta del nuovo capogruppo del partito a Montecitorio. Una donna. Nemmeno un’ora dopo il diluvio. Un botta e risposta via lettera tra Marianna Madia e Debora Serracchiani, le due “candidate”, e una lettera infastidita dell’ex capogruppo Graziano Delrio che ha fatto un passo indietro per inaugurare il nuovo corso. Tre lettere ai deputati che fotografano lo stato del partito.

“Non ho invitato nessuno a candidarsi e nessuno a non farlo perché sarebbe stato poco rispettoso della libertà” scrive Delrio, tirando le somme dell’accaduto e specificando di non aver fatto “trattative anche perché direi di aver già fatto la mia parte. E forse di non meritare accuse di manovre non trasparenti o di potere visto che a quel potere ho voluto rinunciare lasciando immediatamente il mio incarico. Certe parole mi feriscono oltremodo perché non corrispondono alla realtà e perché vengono da un persona che ho stimato sempre. Credo e spero che si tratti di amarezza”.

Tutto inizia, appunto, con la lettera dell’ex ministra Marianna Madia secondo la quale “quello che poteva essere un confronto sano tra persone che si stimano si è subito trasformato in altro. Immediatamente si è ripiombati nel tradizionale gioco di accordi trasversali più o meno espliciti con il capogruppo uscente, da arbitro di una competizione da lui proposta, che si è fatto attivo promotore di una delle due candidate, trasformando ai miei occhi il confronto libero e trasparente che aveva indetto in una cooptazione mascherata”.

All’accusa risponde, “per quanto a malincuore” Debora Serracchiani: “Non posso credere che Marianna intenda riferirsi a me come una persona cooptabile e quindi, dovrei supporre, non autonoma. No, l’autonomia è stata la cifra della mia storia personale e politica, e anche quando sono stata accanto a qualcuno l’ho fatto lealmente, condividendo idee e mantenendo libertà di giudizio. Chi sa, me lo riconosce”.

(c) Umberto Pizzi – Riproduzione riservata


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