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Pubblichiamo un articolo di Affari Internazionali

Una serie di limitazioni e sospensioni nell’industria nucleare iraniana a fronte di un alleggerimento delle sanzioni: questo quanto prevede l’accordo raggiunto a Ginevra fra l’Iran e i 5+1 (Usa, Regno unito, Francia, Cina, Russia e Germania).

Fra sei mesi i negoziatori si riuniranno per valutare l’andamento del compromesso e decidere come fare per raggiungere un accordo di lungo periodo complessivo in grado di garantire la natura pacifica del programma nucleare iraniano. Il risultato delle negoziazioni di Ginevra è stato valutato come un errore storico dal primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu. Se funzionerà sarà invece una svolta storica.

NORMALIZZAZIONE
Difficile dire ora quale sarà la sorte di questo primo accordo. Non si può mancare tuttavia di rilevare la sua importanza politica e la sua influenza sull’evoluzione delle relazioni fra Iran e Stati Uniti.

L’inimicizia in corso dal ’79 ha senza dubbio spinto Teheran verso una politica estera più radicale di quella che avrebbe condotto in una situazione di relazioni più normali, anche se non necessariamente amichevoli. Ma ha lungamente radicalizzato anche la politica degli Stati Uniti, i quali, quando il presidente Mohammad Khatami fece dei passi decisamente collaborativi, non raccolsero i gesti dei riformisti allora al potere in Iran.

Una normalizzazione fra Teheran e Washington non potrebbe che contribuire alla normalizzazione della regione. Le sanzioni hanno morso e l’estremismo religioso e politico dell’ex presidente Mahmoud Ahmedinejad ha creato danni tali che è urgente, necessario e inevitabile che il nuovo governo vi ponga fine.

Gli Stati Uniti hanno avuto il merito di capire che il pugno iraniano si stava aprendo e di crederci. Era stato il presidente Barack Obama a chiedere all’inizio del suo primo mandato che l’Iran “aprisse il suo pugno”, senza però riceverne alcuna risposta positiva. Questa è infine arrivata dal presidente Hassan Rouhani. Dando una volta tanto prova di leadership, Obama ha quindi guidato i paesi occidentali ad aprire il loro pugno.

Prima che i negoziati iniziassero ci sono stati quattro incontri segreti tra Stati Uniti e Iran. Questo mostra una precisa volontà delle due parti di creare e cogliere l’occasione. Obama è andato avanti in una situazione di appoggio solo moderato nel suo paese, di franco sostegno da parte degli alleati europei, di forti difficoltà invece da parte degli alleati arabi, in particolare l’Arabia Saudita, e di martellante critica da parte di Israele.

OPPOSIZIONE
Quali conseguenze possono venire da questa opposizione da parte degli alleati regionali degli Usa? In Israele il dibattito sull’attacco alle installazioni nucleari dell’Iran dura da tempo. L’idea degli estremisti al governo di condurlo anche da soli, cioè senza e contro gli Usa, ha avuto da parte dell’establishment militare dei servizi segreti e, in parte, anche dall’establishment civile del paese una risposta nettamente negativa. È improbabile che Netanyhau e Avigdor Lieberman riescano a superare questa opposizione e andare avanti. Israele, almeno per ora, continuerà a stare alla finestra.

L’Arabia Saudita non può che vedere confermate e aggravate le sue preoccupazioni emerse quando Obama ha accettato di rinunciare all’intervento militare che aveva promesso di lanciare al regime siriano di Bashar al Assad in cambio dell’accordo di disarmo chimico. In questa mossa Riyadh ha visto non solo l’indebolimento dell’opposizione e dei sunniti in Siria, ma ha anche vividamente intravisto il rafforzamento dell’Iran e degli sciiti. Quando gli approcci diplomatici di Rouhani sono iniziati, i dirigenti del Regno hanno anche capito che l’intesa era possibile.

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Roberto Aliboni è consigliere scientifico dello IAI.

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