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La crisi di Amt – la municipalizzata dei trasporti che col suo sciopero sta mettendo Genova in ginocchio – non è piovuta dal cielo.

Si è sviluppata tutta qui sulla terra, in conseguenza di scelte politiche coerentemente assunte a difesa del ruolo dei sindacati, i veri azionisti di controllo dell’azienda. Non si può capire la gravità di quello che sta accadendo, né la vacuità della soluzioni proposte, se non si guardano i conti del gruppo.

LO STUDIO DEL BRUNO LEONI

In uno studio dell’Istituto Bruno Leoni, che abbiamo condotto assieme a Francesco Gastaldi e Lucia Quaglino, abbiamo confrontato l’andamento dei costi di produzione di Amt rispetto alle altre quattro società attive in Liguria (Atp nel Tigullio, Tpl a Savona, Atc alla Spezia e Rt a Imperia). Realtà, dunque, comparabili sotto ogni profilo, incluso quello della complessa morfologia del territorio.

I COSTI

Il risultato è che, ben prima che i tagli ai trasferimenti iniziassero a materializzarsi (tra il 2011 e il 2012), i costi di produzione di Amt erano semplicemente fuori scala: in media, ogni chilometro prodotto nel 2010 costava 6 euro, contro una cifra variabile tra 2,5 e 5 delle altre società. Il costo del lavoro, sempre in termini unitari, era quasi doppio (quasi 4 euro/km contro 2-3 euro/km).

INVESTIMENTI E CONTRIBUTI PUBBLICI

Con la conseguenza che la società non ha avuto la capacità di investire nel rinnovo della flotta e si è trovata con consumi di carburante e costi di manutenzione stratosferici (0,8 euro/km contro meno di 0,6 per tutte le altre). E tutto ciò a dispetto dell’andamento dei contributi pubblici che, nonostante la retorica sui tagli, sono raddoppiati (da circa 2 a 4 euro/km) nel periodo 2002-2010, durante il quale Amt ha tagliato il servizio del 10% – unica tra le aziende considerate, che lo hanno mantenuto costante o aumentato.

L’AZIONE DI PERICU

In questi numeri c’è tutto il fallimento del pubblico come azionista, incapace sia di garantire l’efficienza aziendale, sia di proteggere il diritto dei cittadini alla mobilità. C’è l’effetto devastante delle faide interne al centrosinistra: le giunte guidate da Giuseppe Pericu avevano avviato un percorso di risanamento, anche attraverso il coinvolgimento di azionisti privati.

L’OPERA VINCENZIANA

Tuttavia questo sforzo si è drammaticamente infranto contro le resistenze del sindaco successivo, Marta Vincenzi, che si è sistematicamente schierata coi sindacati e contro il management, che aveva in mente una ristrutturazione basata sulla maggiore flessibilità interna.

IL RUOLO DI DORIA

La giunta attuale vive al proprio interno la stessa lacerante divisione, con un sindaco, Marco Doria, che dentro di sé probabilmente solidarizza coi lavoratori ma che deve fare i conti con l’oggettività dei bilanci e della disponibilità di risorse, oltre che con una divisione in seno alla maggioranza tra chi spinge verso il pragmatismo (il Pd) e chi, invece, insiste con l’ideologia del tutto pubblico e del lavoro pubblico come variabile indipendente.

CONCLUSIONE

Le proteste che stanno paralizzando la città sono comprensibili dal punto di vista dei lavoratori, che si vedono crollare il mondo addosso. Ma sono anche il segno della irresponsabilità di politica e sindacati, che hanno preferito ignorare i più che evidenti segnali del crollo pur di mantenere una effimera e ingannevole pace sociale. Per anni hanno raccontato a un moribondo che aveva l’influenza. Adesso è il momento dell’estrema unzione.

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