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Tre quarti di firme raccolte da Raffaele Fitto pronte per il Consiglio Nazionale. No, contrordine, gli alfaniani sono in leggero vantaggio, ma tra i governativi non c’è più la sicurezza di qualche settimana fa. La schizofrenia dei numeri è il dato oggi in evidenza nel Pdl, con i prossimi sette giorni decisivi per la futura sopravvivenza stessa del partito (nuovo) e del leader.

Decadenza
“Voglio sapere cosa farete quando sarà votate la decadenza”, avrebbe detto ieri Silvio Berlusconi all’ex segretario, ex delfino, ex figlioccio Angelino Alfano, convocato a Palazzo Grazioli per un ennesimo banchetto riparatore che ha solo confermato posizioni e richieste. Ma Alfano ha, ormai da tempo, chiara la road map di qui a trenta giorni: restare il nuovo leader del Pdl e non di Forza Italia, tenere sempre caldi quei 40 senatori che servono al governo per tenersi in piedi e dare fiato al progetto dei popolari italiani con Cl a fare da gran visir (garanti Roberto Formigoni e Maurizio Lupi).

Divisioni
Ma gli alfaniani sono tutt’altro che compatti, seppur su aspetti secondari e non determinanti, come la data del Cn. Mentre Lupi e De Girolamo tifano per il 16 novembre, altri nicchiano. E chi come Fabrizio Cicchitto sponsorizza un partito che prosegua nel solco tracciato dal Pdl, quindi non Forza Italia la cui macchina organizzativa è già partita, con il Cavaliere in persona a fare provini stile “x factor” ad Arcore. Stando agli ultimi numeri, 300 sarebbero le firme in possesso delle colombe: un po’ poche per tentare l’assalto in Consiglio nazionale. Circostanza che ha acuito le frizioni (esponenzialmente aumentate) fra tutti i protagonisti di questa delicatissima partita, di cui il Cavaliere pare abbia già deciso l’esito: il dado è tratto e la successione ereditaria ci sarà.

Colombe
Ancora ieri, il punto è stato fatto in un vertice convocato dal ministro delle Riforme Gaetano Quagliariello, per contarsi e tentare di contrastare le “telefonate molto pesanti” (copyright Fabrizio d’Esposito sul Fatto Quotidiano) partite da falchi di primissimo piano, a cui fanno da contraltare le indiscrezioni giudiziarie che vorrebbero alcuni procedimenti all’orizzonte per esponenti pidiellini impegnati nei prossimi giorni nella conta finale del Cn.

Lealisti
Raffaele Fitto, di scuola democristiana come Alfano ma nato a Maglie (come Moro), non avrebbe mai iniziato una battaglia politica interna di questo spessore se non avesse avuto sentore almeno di avere i tre quarti delle truppe dalla sua. Questo il punto di partenza per individuare le reali forze in campo e al di là delle liste di proscrizione o delle firme che qualche colomba pubblicizza in pompa magna. Seicento dovrebbero essere le firme dei lealisti, se ne contavano ben 596 nella tarda serata di ieri. Una maggioranza precisa (su 850 delegati) che non lascerebbe spazio per interpretazioni o richieste da parte degli alfaniani. Che si consolano con il tifo dei centristi, ma cui mancherebbero i voti nelle regioni, pallottoliere alla mano. Come pretendono i ministri, osserva un lealista, di contrastare ad esempio in Veneto e Puglia Galan e Fitto?

Caos
“Più che moderati sono screanzati”, attacca a testa bassa l’ex sottosegretario Micaela Biancofiore direzione Alfano. E aggiunge: “Lui e Letta, una coppia di perdenti. Hanno creato danni enormi al mio personale. Da un giorno all’altro si sono trovati senza posto”. Che riserva stoccate per tutti. Al vicepremier dice che “da quando è segretario il signor Alfano ha perso un’elezione dopo l’altra e poi si è messo a scimmiottare con Monti per archiviare Berlusconi: ma di cosa stiamo parlando? C’è un limite a tutto”. A Cicchitto invece ricorda che “è in un delirio di onnipotenza, pontifica urbi et orbi, si sente il depositario della verità”. Se mettesse piede in Trentino Alto Adige “lo prenderebbero a schiaffoni”. Ecco le premesse litigiosissime per un Consiglio nazionale che non sarà indolore: per nessuno.

 

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