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Con tutte queste correnti all’interno dei partiti, chi frequenta il Parlamento corre seriamente il rischio di buscarsi un malanno. E visto che di politica stiamo parlando, la malattia più temuta dall’onorevole o senatore indigeno è quella che lo debiliti a tal punto da escluderlo dalla prossima campagna elettorale. L’istinto di sopravvivenza è innato in ogni essere vivente, figuriamoci poi in quelli che per vocazione, ideali o opportunismo si ritrovano a rappresentare la nazione in un consesso istituzionale. Da qui nasce il sospetto che le accese discussioni, gli appelli pro e contro la stabilità di governo, i manifesti di novelli candidati alla guida di un partito, siano dettati più dall’esigenza dei singoli di ritagliarsi un angolo di paradisiaca visibilità mediatica, una sorta di viatico per il futuro, che non per una questione di principi e idee divergenti su di uno specifico argomento.

Gli abili sforzi da equilibrista esperto qual è, costringono il premier Letta a dare un calcio al cerchio ed uno alla botte con il risultato finale di scontentare tutti, dai partiti che lo sostengono alle associazioni di categoria. Ma è un governo delle larghe intese, frutto di un voto dei cittadini italiani che pone poche alternative, anzi nessuna dato che a breve la Consulta dovrà esprimersi sulla costituzionalità delle legge elettorale in vigore, mentre è di tutta evidenza che l’attuale schieramento parlamentare ben difficilmente riuscirà a partorire qualche altra proposta che non sia un ennesimo pastrocchio. Viviamo una situazione surreale di alchimie politiche, con personaggi in cerca d’autore – leggi leader – ed altri che ambiscono ad esserlo, altri ancora che scoprono quanto la politica sia dura e difficile e non basta essere professori per non inciampare nei fili invisibile che quotidianamente vengono tesi. E’ il caso di Monti, un marziano da salotto che nell’arena non avrebbe dovuto mai scendere e che ora si ritrova a parlare di un cagnolino e a puntare il dito verso quel Letta che solo una settimana fa aveva elogiato in Senato nel suo intervento a favore della fiducia. Una misera fine.

E mentre uno sparisce, altri si propongono. Alcuni come Renzi con indubbia capacità d’espressione, ma con programmi che non chiariscono, al di là di una dose massiccia di populismo, che cosa propone, o meglio a chi si rivolga: ha ragione un vecchio democristiano come Pomicino quando afferma che quello del sindaco è un manifesto che potrebbe essere votato dalla Santanchè come da Grillo. Di tutto un po’ va bene per taluni ambienti e determinati momenti, ma poi alla resa dei conti, resterà da vedere come potrà rivolgersi agli azionisti di maggioranza del suo partito e, in particolare, se sarà sufficientemente vaccinato per resistere…

Dall’altra parte Alfano è il delfino combattuto tra l’amore dei voti del padre e l’ambizione personale che è giusto che ci sia. L’esperienza passata dovrebbe avergli insegnato qualcosa, quindi non stupiscono i suoi proclami di fedeltà e riconoscimento del ruolo di Silvio Berlusconi: il vecchio leader sarà pure acciaccato dagli attacchi togati, ma il segretario del Pdl è ben consapevole che senza il suo imprinting le urne del centrodestra rischiano di essere scarne alla prossima chiamata. D’altronde, anche vecchie volpi della politica come Casini e Mauro lo hanno ben capito.

Quindi, mantenere la calma: è inutile agitarsi. Il governo Letta naviga in acque turbolente ma è ben attrezzato per stare a galla e, al di là delle dichiarazioni di facciata, tutti i partiti trasversalmente sono impegnati a guadagnar tempo per darsi una nuova fisionomia. La sintesi finale sarà un nuovo bipolarismo, probabilmente destinato a sconfiggere la protesta inconcludente di Grillo e a decretarne la fine. Ma ciò che preoccupa, date le esperienze passate, è che si cada ancora nell’ennesimo errore di coalizioni ed alleanze elettorali che poi si sciolgono dopo il voto, lasciando il Paese nella consueta impossibilità di essere davvero governato.

Insomma, il solito disco rotto dei facili proclami e delle chiacchiere ma di poca valenza pratica, che potrà smettere di gracchiare solo quando si cambieranno le regole del gioco. E non attraverso una nuova legge elettorale, ma quelle di fondo, ovvero si giunga grazie alla riforma della Costituzione ad un vero cambiamento che porti il modello di democrazia parlamentare a quello presidenziale. E’ tempo che questa giovane Repubblica Italiana decida cosa vuole essere e cosa voglia fare da grande.

Cari Renzi e Alfano, cosa volete fare da grandi?

Con tutte queste correnti all’interno dei partiti, chi frequenta il Parlamento corre seriamente il rischio di buscarsi un malanno. E visto che di politica stiamo parlando, la malattia più temuta dall’onorevole o senatore indigeno è quella che lo debiliti a tal punto da escluderlo dalla prossima campagna elettorale. L’istinto di sopravvivenza è innato in ogni essere vivente, figuriamoci poi in…

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