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Ecco una valutazione in merito alla proposta di Matteo Renzi di un piano per rilanciare il mercato del lavoro – il cosiddetto Jobs Act discusso oggi durante la riunione della Direzione del PD – e che prevede tra l’altro l’assegno universale per chi perde il posto di lavoro, anche per chi oggi non ne avrebbe diritto, contratti di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti per i giovani e la riduzione delle varie forme contrattuali (circa 40) attualmente vigenti in Italia.

LATI POSITIVI E NEGATIVI
Se da un lato la proposta di contratti di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti per i giovani al primo impiego potrebbe avere un impatto positivo sul mercato del lavoro, dall’altro, bisogna attendersi che siano sollevati dubbi di legittimità costituzionale di un trattamento diverso a seconda dell’età. Analizzando invece l’impatto su chi potrà avvalersi della norma, gli effetti positivi sono tangibili e reali. Si consentirebbe infatti alle aziende di poter “provare” i giovani e al tempo stesso retribuirli. Un test fondamentale sia per il giovane stesso che in questo modo si confronterà con il mercato del lavoro dovendo dimostrare la propria professionalità, sia per le aziende le quali avranno la possibilità di sondare contemporaneamente la sostenibilità economica dell’operazione nel corso del tempo e le reali competenze della nuova forza lavoro. Altro aspetto nebuloso da sciogliere – sottolinea il giuslavorista – è come le aziende effettivamente utilizzeranno la norma. I sindacati infatti potrebbero obiettare che il datore di lavoro ha in mano uno strumento per usare sempre i giovani a rotazione, senza garantire loro un inserimento effettivo e indeterminato nel tempo.

L’ASSEGNO UNIVERSALE
Per quanto riguarda l’assegno universale per chi perde il posto di lavoro, anche per chi oggi non ne avrebbe diritto, è impossibile non essere d’accordo, soprattutto se si analizza quanto attualmente siano complicate le misure di assistenza post-licenziamento in Italia. Sarebbe necessaria una grande semplificazione dell’iter assistenziale, e già la riforma Fornero andava in questa direzione. Rimangono però i dubbi sul finanziamento della misura e quindi sulla sua reale fattibilità. Dubbi di natura burocratica anche sulla proposta dei corsi di formazione obbligatori per i disoccupati aventi diritto all’assegno di disoccupazione. L’idea di per se è buona ma è facile prevedere i rischi di speculazioni che ne farebbero automaticamente perdere l’efficacia.

LA SEMPLIFICAZIONE DELLE NORME
Sulla tanto dibattuta semplificazione delle norme prevista dal Jobs Act si gira attorno ad un falso problema: se infatti sia meglio fornire un’ampia gamma di forme contrattuali (apprendistato, lavoro intermittente, lavoro a progetto, lavoro a termine, tirocinio, ecc.) o al contrario sia meglio proporre un unico modello (lavoro a tempo indeterminato). La verità è che le forme giuridiche non creano posti di lavoro, che sono legati alla ripresa economica e alla fiducia degli investitori. Sia con una forma unica di lavoro, sia con molte forme la fiducia degli investitori dipende dalla certezza del diritto, cioè dalla sicurezza che la forma contrattuale prescelta non sia inficiata da azioni legali, come invece oggi troppo spesso accade nella realtà.

Avvocato Fabrizio Daveriosocio fondatore dello studio legale Daverio & Florio, specializzato in Diritto del Lavoro e della Previdenza sociale

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