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La prima vittima della prossima crisi militare (o la prossima di questa in corso) potrebbe essere la nostra connessione Internet, colpita perché le infrastrutture che fanno viaggiare i nostri dati – i cosiddetti cavi sottomarini – stanno prendendo centralità tra i potenziali target. Oppure, potrebbero essere le forniture dei nostri servizi primari come l’energia elettrica, che potrebbe subire alterazioni anche nei prezzi da danno a condotte che scorrono sul fondo del mare. Attaccare gli obiettivi dei fondali marini non sarà mai facile. I proclami degli Houthi sulla possibilità di colpire i sistemi che scorrono sotto il Mar Rosso sono per questo sembrati più che altro slanci propagandistici. Tuttavia, l’attenzione resta alta – e quello che è probabilmente stato un incidente, nei giorni scorsi è stato subito descritto come un potenziale attacco.

Colpire sott’acqua, a decine e decine di metri di profondità, è ovvio che sia intrinsecamente più impegnativo che attaccare le infrastrutture fuori terra – in quello stesso quadrante, sempre per restare all’attualità, gli Houthi non hanno avuto problemi a lanciare i missili forniti loro dai Pasdaran contro le grandi navi mercantili che collegano Europa e Asia. Attaccare sotto la superficie richiede un’intelligence di alta qualità (per individuare le infrastrutture) e un’attenta pianificazione, nonché strumenti adeguati. Se per intaccare le connettività internazionali fuori terra basta l’uso di alcuni lancia razzi o sistemi senza pilota (aerei o navali) sotto il controllo di operatori con formazione ed esperienza anche bassa, per colpire tra gli abissi serve preparazione – per esempio, solo alcune unità sceltissime, tra le migliori forze speciali del mondo, hanno mezzi e capacità di andare a danneggiare i cavi, per altro solo nelle porzioni effettivamente raggiungibili.

Tuttavia, visto il valore degli obiettivi (che è nella sostanza il valore inestimabile che i dati hanno in questo momento e quello che altri servizi hanno sempre avuto nella storia recente), molte forze militari regolari e gruppi combattenti si stanno attrezzando per ottenere in qualche modo i mezzi tecnici necessari a certi gesti. E un numero crescente di produttori di AUV (acronimo da appuntare, sta per autonomous underwater vehicle) ha il know-how necessario per costruire veicoli adatti.

La guerra underwater è ormai una nuova realtà, molto più comune degli inseguimenti da film dei grandi sommergibili nucleari, che minaccia le infrastrutture sottomarine civili: quelle che collegano e alimentano il mondo. Cavi, tubi e impianti sono di fatto vulnerabili agli attacchi di stati, gruppi o individui che aumenteranno per questo quella preparazione e avranno a disposizione sempre più mezzi.

La guerra sottomarina può essere usata come forma di guerra ibrida o come parte di conflitti aperti. La tecnologia dei veicoli autonomi sottomarini può aumentare il rischio e la portata degli attacchi. Anche per questo, crescono le attenzioni. Come quella che ha per esempio messo nero su bianco l’intelligence italiana. “Il territorio italiano è parte di un’articolata rete infrastrutturale sottomarina composta da cavi per le telecomunicazioni, gasdotti ed elettrodotti la cui tutela costituisce una priorità per la sicurezza nazionale, anche in considerazione della posizione strategica del nostro Paese nell’area mediterranea”, spiega la Relazione annuale 2023 sulla politica dell’informazione per la sicurezza.

In Italia entrano 193,2 Mmc/g (milioni di metri cubi al giorno) di gas e 2,5 GW di elettricità per via sottomarina, con importanti cavi di telecomunicazioni che si collegano alla Penisola. Tra questi per esempio l’Asia Africa Europe-1 (AAE-1), un cavo sottomarino da 40 Terabit al secondo, lungo circa 25.000 km che connette Francia, Italia (è stato posato a Bari nel maggio 2016) e Grecia con svariati Paesi africani e dell’Asia centro-meridionale, che è tra quelli che sarebbero danneggiati nel Mar Rosso – per capire la portata del danno, si stimano 8 settimane come tempo per ripristinare l’uso dei sistemi danneggiati.

La mappatura dell’intelligence italiana traccia il cavo Italia-Croazia del 1994, il Janna (tra Civitavecchia e Olbia per poi proseguire via terra in Sardegna fino a Cagliari e nuovamente via mare fino a Mazara del Vallo), gli hub di Genova e Savona (dal capoluogo ligure parte l’importantissimo Blue & Raman Submarine Cable Systems) e infine le connessioni siciliane (avamposto italiano in mezzo al Mediterraneo anche sul piano della connettività).

Il mondo è sempre più connesso. L’energia, il gas naturale, il petrolio e, naturalmente, Internet, si basano tutti sulle infrastrutture sottomarine. E i data center e le centrali nucleari potrebbero andare allo stesso modo. Grazie a questa connettività, è facile pensare che un attacco a un’infrastruttura in un determinato Paese possa avere conseguenze in un altro, in una regione e in modo più allargato ancora. È una nuova dimensione della guerra navale su cui i governi stanno investendo.

Anche perché, la natura delle infrastrutture sottomarine le rende suscettibili di attacchi di guerra ibrida, spesso ambigui e difficili da attribuire. Questa ambiguità consente la diffusione di disinformazione da parte di attivisti e politici. Per restare sempre sull’attualità: Hamas avrebbe sviluppato AUV per colpire le infrastrutture israeliane di gas naturale offshore, rappresentando una minaccia reale nonostante non sia ancora riuscito a compiere un attacco.

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