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L’annuncio dello scioglimento entro fine ottobre del Patto di sindacato che ha governato la Rizzoli-Corriere della Sera per quasi trent’anni sugella il tramonto di una lunga stagione del capitalismo italiano. È calato il sipario sul “salotto buono” che teneva saldamente unito il gotha finanziario in una logica di relazioni incrociate, di auto-conservazione del potere. Mondo di cui l’alleanza di imprenditori e banchieri che detenevano il 60 per cento di Via Solferino rappresentavano il simbolo indiscusso.

Per capire gli scenari che si aprono nell’universo economico e mediatico del nostro paese Formiche.net ha sentito Giancarlo Galli, giornalista e editorialista del quotidiano Avvenire. Le sue testimonianze sul ceto dirigente hanno preso forma in libri quali “Nella giungla degli gnomi”, “Il padrone dei padroni. Enrico Cuccia e il capitalismo italiano”, “Poteri deboli. La nuova mappa del capitalismo nell’Italia in declino”, “Finanza bianca. La Chiesa, i soldi, il potere”, “Gli Agnelli. Declino di una dinastia”.

Galli, come giudica lo scioglimento del Patto di sindacato in RCS? 

Lo ritengo un passo estremamente positivo nella direzione del cambiamento e della rottura di incrostazioni, accordi, dualismi privi di logica e nemici della responsabilità. Artifici finalizzati a tenere insieme una miriade di imprenditori e gruppi aziendali la cui presenza nella governance di un grande gruppo editoriale e giornalistico era motivata soltanto da giochi di potere. Prassi degne dei peggiori partiti della prima Repubblica, di una filosofia consociativa che non ha nulla a che vedere con il mercato e la libera concorrenza.

L’accordo para-sociale risaliva al 1984. È una fatto storico per il capitalismo e l’editoria italiani? 

Sì. Ma nel 1984 alla guida di Mediobanca vi era Enrico Cuccia il quale voleva che gli imprenditori facessero il loro mestiere e si dedicassero alla propria vocazione produttiva. Riteneva che altrimenti essi perseguissero un interesse non limpido: la volontà di mettere la museruola alla cronaca economica giornalistica, per cui gli italiani devono leggere il Financial Times o il Wall Street Journal per venire informati sul capitalismo nazionale. Nel nostro Paese i mass media sono posseduti da coloro che dalla stampa dovrebbero essere messi costantemente in discussione. Emblematica è stata la strategia del silenziatore messa in atto sul groviglio di malversazioni e corruzione emerso nella vicenda Mps, ben più grave rispetto alle peripezie legate ai gusti sessuali di Silvio Berlusconi.

Vede la possibilità di un asse tra John Elkann e Giovanni Bazoli nell’arroccamento a difesa del Patto? 

Non vi è alcun patto tra le due figure. Il presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo, personaggio dell’ancien régime politico-finanziario e rappresentante della sua filosofia consociativa come il suo amico Giuseppe Guzzetti, è il protagonista dell’accordo che voleva conservare il Patto. Mentre il giovane presidente di Fiat non aveva più tale interesse. Anzi, ritengo non voglia neanche tenere La Stampa, un giornale come il Corriere penalizzato da costi elevati e dall’assenza di bilanci floridi. Ragion per cui è prevedibile una fusione delle strutture e delle sinergie sottostanti ai due giornali, magari con una rete di corrispondenti esteri comuni sulla falsariga di quanto realizzato dal gruppo Monti-Riffeser con Giorno-Nazione-Resto del Carlino.

È il preludio alla vendita dei due quotidiani?

Realizzata un’unità produttiva efficiente nel conto profitti-perdite, è possibile una cessione a un editore puro. Forse un Rupert Murdoch, che rilancerebbe i due grandi giornali ognuno orbitante nelle tradizionali aree strategiche del Nord. Ne potrà guadagnare la forza e l’indipendenza dell’informazione. È ciò che in una certa chiave aveva in mente Diego Della Valle, il primo a rompere clamorosamente l’accordo di governance di RCS. Contro un establishment di azionisti che ha sempre voluto un racconto blando della crisi industriale italiana.

È la vittoria della strategia di Diego Della Valle e della Mediobanca guidata da Alberto Nagel?

Senza dubbio. Il patron di Tod’s ha avuto il coraggio dell’elefante che entra nel negozio di cristallerie. Adesso però la sua linea è in conflitto con quella degli Agnelli-Elkann che probabilmente decideranno di vendere. Mentre lui, imprenditore emergente e più provinciale, è legato all’idea e al blasone di un giornale indipendente e autorevole, non legato agli equilibri di potere. Il numero uno di Piazzetta Cuccia ha dal canto suo provocato, con la nomina di Mario Greco ad amministratore delegato di Generali, il primo grande distacco di un gruppo rilevante dal Patto. Producendo un effetto domino a partire dalla scelta compiuta da Italcementi di Carlo Pesenti. Uno sganciamento progressivo in antitesi con la tradizione del “salotto buono” ambito per decenni dai grandi imprenditori e che oggi risulta fuori tempo. Tranne che per gli stilisti, viste le pagine dedicate alla moda dal Corriere e che hanno fagocitato gli stessi magazine femminili.

È stato sancito l’addio alle logiche della “Galassia”, così come è stata chiamata fino a ieri la terna Mediobanca-Generali-Rcs?

Non vi è più la “Galassia” perché non c’è più il sole della finanza italiana. Morto Enrico Cuccia e formatasi una costellazione europea a guida tedesca e solo in parte francese, qual è la figura egemone nel gotha nazionale? Forze Bazoli: ma non possiede la luminosità di Cuccia e ricopre lo stesso ruolo da oltre 30 anni.

Corriere della Sera, perché Della Valle e Nagel hanno vinto con lo scioglimento del patto

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