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Fino a qualche anno fa il mondo dell’energia non viveva certo di forti sussulti. Pochi esportatori di gas e petrolio, riuniti nel cartello dell’Opec, stessi consumatori, regole di incontro tra domanda e offerta per fissare il prezzo del barile, qualche raid della speculazione che gonfiava il costo finale. Per mantenere inalterato questo paradigma si sono combattute guerre, attivate le diplomazie, fatto e disfatto alleanze.

Oggi tutto sta cambiando. La rivoluzione delle fonti non convenzionali (shale gas e light tight oil) avrà effetti impressionanti nei prossimi anni non soltanto sul prezzo dell’energia ma anche sulla mappa geopolitica del pianeta. Gli Stati Uniti saranno tra qualche anno i principali esportatori di petrolio mentre già oggi, grazie all’abbondanza di shale gas, riescono ad alimentare la propria industria nazionale a costi estremamente bassi.

L’Asia aumenta la sua quota di consumi, anche come conseguenza dell’aumento della popolazione e della stratificazione di una classe media che si apre sempre più al benessere. Lo farà con un mix energetico in cui petrolio e carbone continueranno a dominare, ed un ruolo importante e crescente di tecnologie rinnovabili. Tra i due c’è l’Europa, come spesso accade bloccata in mezzo al guado.

Un continente, il nostro, che paga una bolletta più salata in media del 30% rispetto agli Usa, che ha scelto per il momento di fermare la costruzione di centrali nucleari, che ha elargito incentivi al settore delle rinnovabili e che per adesso ha messo in cantina l’ipotesi di sfruttare le riserve di shale gas.

Le conseguenze geopolitiche di questo sintetico quadro sono impressionanti. Gli Stati Uniti non hanno più bisogno di mantenere lo status quo in Medio Oriente. La consonanza politica diventa più importante dell’interesse petrolifero per la prima volta dopo più di mezzo secolo. Lo si è visto già con l’intervento militare in Libia, nel quale gli Usa hanno preferito “guidare dalle retrovie” e con la decisione di non attaccare la Siria di Assad. Ma anche con il negoziato in corso con l’Iran.

Il Mediterraneo diventerà sempre più quindi un “affare europeo”. Dovrà spettare a noi soprattutto cercare di mettere ordine nel cortile di casa e fare in modo che dalle primavere arabe nascano prospettive di stabilità e crescita. Anche perché i Paesi del Nord Africa – Golfo Persico cominciano a dover impiegare una buona parte delle risorse di idrocarburi per i consumi interni. La quota destinata all’export, ad esempio verso l’Europa, è destinata nel medio – lungo termine a diminuire notevolmente.

La Russia non dorme sonni tranquilli. La sua postura strategica si basa sull’energia e sull’export di gas in particolare. Un mercato nel quale la stessa molecola ha 3 prezzi differenti nelle diverse aree del mondo e nel quale le riserve non convenzionali raggiunte attraverso il fracking cambiano il paradigma dell’energia non è un mondo nel quale Mosca può immaginare di accoppiare solidità economica e stabilità politica.

L’Asia, vorace di energia, dovrà importare qualsiasi cosa sia disponibile. Risorse convenzionali dall’Africa e dal Golfo; risorse non convenzionali dagli Usa e dal Canada; tecnologie per rinnovabili prodotte in loco o acquisite da altre parti del mondo.

Asia e America stanno quindi ridefinendo la loro posizione geopolitica. Perfino il Medio Oriente vive una nuova scomposizione degli equilibri. Il tutto innescato dall’energia. E l’Europa? Per il momento dibatte, riflette, pondera, medita. Sul suo destino e su come uscire dalla crisi. Magari aprendosi alle nuove frontiere dell’energia? E intanto il mondo attorno corre veloce.

Ecco la nuova mappa geopolitica del petrolio

Fino a qualche anno fa il mondo dell’energia non viveva certo di forti sussulti. Pochi esportatori di gas e petrolio, riuniti nel cartello dell’Opec, stessi consumatori, regole di incontro tra domanda e offerta per fissare il prezzo del barile, qualche raid della speculazione che gonfiava il costo finale. Per mantenere inalterato questo paradigma si sono combattute guerre, attivate le diplomazie,…

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