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Mentre numerosi conti della Bank of Cyprus nel Regno Unito, ritenuti ad alto rischio, stanno per essere chiusi, nella parte settentrionale dell’isola occupata dai militari turchi ecco arrivare la piattaforma petrolifera che apre la caccia al petrolio in quella porzione di Mediterraneo dove però la Turchia è di fatto fuori legge. Pochi giorni prima il presidente turco Erdogan aveva provocatoriamente detto che “Cipro non esiste” nel silenzio ambiguo della comunità internazionale. Ma il rischio è di “pestarsi” i piedi con sondaggi già attivi frutto dell’accordo tra Nicosia e Tel Aviv dello scorso anno.

APERTA LA CACCIA
Da Ankara è partita ufficialmente la caccia ai preziosi idrocarburi: è stata infatti inviata una piattaforma petrolifera al largo della costa settentrionale di Cipro che occupa dal 1974 ancora oggi con 50mila militari e dove ha autoproclamato la fantomatica Repubblica turco cipriota del Nord, non riconosciuta né dall’ONU né dalla Comunità internazionale, mentre la Repubblica di Cipro (a sud) è uno stato membro dell’Ue a tutti gli effetti. Secondo il quotidiano turco-ciprota Kibrisli la piattaforma “GSP Jupiter”, di proprietà della compagnia romena Sonnat Offshore, è giunta in località Kerynia dopo una serie di trivellazioni condotte in segreto nelle ultime settimane da un’altra nave. E adesso si prepara a cercare il petrolio.

OCCUPAZIONE TURCA
Cipro ha provveduto dallo scorso anno a formalizzare un pre accordo con Tel Aviv sullo sfruttamento dei giacimenti sottomarini presenti nelle sue acque sudorientali. Da più parti ci si chiede come possa oggi la Turchia pretendere diritti in un luogo di cui ufficialmente non è legittima proprietaria dal momento che l’ha occupata dal 1974. E ancora oggi la presidia con circa 50mila militari in loco, che nel corso degli ultimi quattro decenni hanno provveduto a far deperire il preziosissimo patrimonio artistico e culturale presente, con icone antecedenti l’anno mille, con cimiteri come quello di Termia devastati dai cingoli dei carri armati. E con Chiese bizantine, maronite ed ebraiche trasformate in caserme, stalle o bordelli come testimoniato dal volume di Charalampos Chotzakoglou, docente di Byzantine Art and Archaeology all’Hellenic Open University di Atene e al Museum of Kykkos Monastery di Cipro, “Monumenti religiosi nella parte di Cipro occupata dalla Turchia – Fatti e testimonianze di una continua distruzione”, tradotto anche in italiano.

CONVENZIONE MONTEGO BAY
L’intero comparto dello sfruttamento delle risorse minerali, quindi anche il controllo esclusivo su tutte le risorse economiche del suolo sottomarino antistante alle proprie coste, è disciplinato dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, nota anche come Convenzione di Montego Bay. Risale al 1982 e prende il nome dalla località giamaicana dove fu sottoscritta. In vigore dal 1994, è stata applicata da ben duecento Paesi.

MODALITA’
La convenzione di Montego Bay disciplina l’estensione della sovranità territoriale degli Stati anche sulle acque marine antistanti alle loro coste, definendo contenuti e limiti di tale sovranità. In ragione di essa quindi la sovranità dello Stato può estendersi per massimo dodici miglia fino ad una zona di mare adiacente alla sua costa, il cosiddetto mare territoriale, su cui il singolo Stato esercita le proprie prerogative. Invece lo sfruttamento esclusivo di minerali, idrocarburi liquidi o gassosi, si estende su tutta la propria piattaforme continentale, intesa come il naturale prolungamento della terra emersa sino a che essa si trovi ad una profondità più o meno costante prima di sprofondare negli abissi. Per cui lo Stato costiero è unico titolare del diritto di sfruttare tutte le risorse biologiche e minerali del suolo e del sottosuolo.

CONTRADDIZIONE
Il corto circuito di questa delicatissima faccenda è squisitamente geopolitico, ma prima ancora legislativo. Infatti l’ordinamento internazionale non permette a raggruppamenti di persone o territori di pretendere eguali diritti o di muovere analoghe pretese a quelli di Stati sovrani dinanzi alla comunità internazionale. Per cui anche l’autoproclamatasi Repubblica Turca di Cipro del Nord, a nome della quale il governo turco sostiene l’esistenza di un diritto sulle risorse a Cipro, non ha i titoli per avanzare pretese di sorta.

CASO BANK OF CYPRUS
Una situazione in cui, complice la crisi delle banche cipriote sfociate lo scorso mese di marzo con il prelievo forzoso sui conti, ha accentuato l’esigenza di individuare una pax tra le due fazioni, con al centro i preziosi idrocarburi appetiti da tutte le parti in causa. Sul fronte bancario è delle ultime 24 ore la notizia della chiusura di decine di conti designati come “ad alto rischio” della Banca di Cipro nel Regno Unito e di proprietà e politici e funzionari governativi provenienti da Cipro. L’annuncio è stato dato dal governatore della Banca Centrale cipriota, Panicos Demetriades, in occasione di un’interpellanza alla Camera del deputato dell’AKEL, Irini Charalampidou. Il Governatore della Banca Centrale ha confermato l’informazione, sottolineando che i conti ammonterebbero a un centinaio.

twitter@FDepalo

Cipro, perché i turchi aprono la caccia agli idrocarburi

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