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Giorgio Napolitano, ancora una volta. E’ il capo dello Stato a dimostrarsi giorno dopo giorno il custode degli equilibri politici e a salvare in extremis situazioni che appaiono irrecuperabili.

La Giunta
Anche ieri è andata così. Dopo un’escalation di tensione a seguito degli scontri in Giunta sui tempi della decadenza di Silvio Berlusconi, sembrava veramente arrivato l’epilogo per il governo Letta. È stato il richiamo del presidente della Repubblica (“se non teniamo fermi, anzi, se non consolidiamo i pilastri della nostra convivenza nazionale, tutto è a rischio”, ha detto rievocando l’8 settembre del ’43, accompagnato dal lavorìo delle colombe governative), a far prevalere il buon senso e a far temporeggiare la Giunta da soluzioni sbrigative che avrebbero seriamente messo a rischio le larghe intese.

Ma è ripercorrendo questi ultimi mesi che ci si accorge come sia arrivata spesso dal Colle più alto la chiave di volta per uscire dalle impasse che si sono succedute.

Il sacrificio della seconda rielezione
A cominciare dalla rielezione di Napolitano. Quando ormai aveva già fatto le valigie e ripetuto più volte che non ci sarebbe stato per lui un secondo mandato, è stato il suo sacrificio a far uscire il Parlamento dall’imbarazzo per il non accordo sul nome del suo successore. Ed è così che il 20 aprile scorso è entrato nella storia come primo presidente della storia rieletto.

La fiducia in Letta
Anche il disaccordo per trovare una maggioranza governativa dopo la confusione post-elettorale è stato superato con la mano ferma del Quirinale che ha fortemente voluto il governo di larghe intese guidato da Enrico Letta. E lo ha sempre difeso.

Napolitano e Berlusconi
Nell’agosto della politica italiana, ha fatto da padrona poi la sentenza della Cassazione sul processo Mediaset. Anche in questo caso, il Colle è stato più volte evocato per un’eventuale concessione di grazia. E anche in questo caso, Napolitano non ha voluto lasciare ombre. Di ritorno dalle vacanze in Trentino, ha scritto una nota ferragostana in cui ha voluto chiarire che “di fronte a qualsiasi sentenza definitiva, non si può che prendere atto”. E che avrebbe valutato un eventuale atto di clemenza, solo dopo apposita domanda. E comunque, ha fatto notare Emanuele Macaluso, questo può valere solo per la pena principale e non per quella accessoria.

Di fronte allo scivolare della crisi paventata da Pdl, il 5 settembre il capo dello Stato ha messo in guardia dai “gravissimi rischi” che la caduta del governo provocherebbe al Paese e ha fatto sapere di avere “fiducia” nelle ripetute dichiarazioni di Berlusconi “in base alle quali il governo continua ad avere il sostegno della forza da lui guidata”. Ed ecco che grazie alle sue parole il clima si è nuovamente rasserenato. Fino a una crisi verso cui la politica sembra irrimediabilmente attirata.

Una risposta alle critiche
Certo, l’“interventismo” che ha caratterizzato la sua permanenza al Colle è costato al presidente Napolitano anche dure critiche. Ma ad esse risponde il commento di Vincenzo Lippolis, professore di Diritto comparato all’Università degli studi internazionali di Roma e autore con Giulio M. Salerno del saggio appena edito dal Mulino,“La repubblica del Presidente”.

In occasione della fine del primo mandato, il professore ha spiegato a Formiche.net: “L’anomalia di questi anni non è stato l’interventismo di Napolitano ma il decotto sistema dei partiti della seconda Repubblica. Napolitano è stato un ‘motore di riserva’ della vita politico-istituzionale perché il motore principale era molto giù di giri”.

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