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I rapporti tra Cina ed Europa non sono più quelli di una volta. Prima la mancata ratifica da parte europea del trattato sugli investimenti, il Cai; poi i primi scricchiolii lungo la Via della Seta, anche con il disimpegno italiano; infine i mal di pancia di Bruxelles verso lo strapotere del mercato cinese delle auto elettriche, in odore piuttosto forte di doping di Stato. Eventi che messi a fattor comune, hanno finito con il sfilacciare il tutto, aprendo la stagione del cosiddetto de-risking.

Per questo il summit tra Europa e Dragone in programma il prossimo 7 e 8 dicembre parte sotto una luce non troppo buona. Il rischio è che non si arrivi a una dichiarazione congiunta che avrebbe il chiaro sapore dell’intesa. Due settimane fa, a San Francisco, Stati Uniti e Cina hanno mandato al mondo segnali più distensivi rispetto a quelli che potrebbero arrivare dal vertice della prossima settimana. Ma Carlo Pelanda, economista e gran conoscitore della Cina, non la vede proprio così.

“Quello che oggi condiziona più di tutti il rapporto tra Pechino e Bruxelles è la profonda consapevolezza da parte della stessa Ue che ci possa essere un domani una specie di G2, Usa-Cina, più forte di quanto non si creda”, premette Pelanda. “Secondo elemento di influenza, il fatto che la Germania abbia bisogno di mantenere un buon rapporto tanto con l’Occidente, quanto con la Cina. Per questo non mi aspetto dal vertice di dicembre, dove ci saranno le seconde linee più che le prime, grandi scossoni. Anzi, prevedo che si mantenga il dialogo con la Cina, con delle agende di settore che garantiranno la prosecuzione delle interlocuzioni tra Pechino e Bruxelles. Insomma, non vedo nessun evento reale di rilevanza geopolitica all’orizzonte e questo nonostante un de-risking, da parte europea, sia già in atto”.

“Penso che anche Francia e Germania non abbiano tanta voglia di irrigidire ulteriormente i rapporti. Non dimentichiamoci che il prossimo anno ci sono due eventi di importanza strategica”, spiega Pelanda. “Mi riferisco alle elezioni negli Stati Uniti e in Europa. In questo secondo caso, poi, la dirigenza attuale potrebbe ben presto cambiare e con essa l’orientamento verso la Cina. Tanto basta a fare una constatazione: se i funzionari dell’Ue oggi assumessero una posizione forte verso la Cina, tale postura avrebbe vita breve perché potrebbe modificarsi con le elezioni del prossimo anno. E poi attenzione al ruolo della Germania, che sta nel mezzo: non vuole rompere con la Cina ma non ha nemmeno interesse ad creare le condizioni per un’invasione delle auto elettriche cinesi”.

Non è tutto. “Quello che l’Ue potrebbe fare, in occasione del vertice, è veicolare un messaggio non contraddittorio con gli Usa sul fatto che la Cina prema sulla Russia affinché si dia una calmata in Ucraina. Ma non credo che i cinesi diano molto ascolto a questo. A Pechino non sono di buon umore in questi mesi, visto e considerato che stanno perdendo terreno nel Sudest asiatico e poi si sono innervositi non poco per la firma dei memorandum sulla via del cotone tra India, Arabia e i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Questo vuol dire alzare il livello della competizione, anche sull’Africa e alla Cina non piace”.

In definitiva, secondo Pelanda questo bilaterale “amplierà in sintesi i canali di comunicazione tra Pechino e Bruxelles, con una serie di tavoli circoscritti a diversi settori ma, come ho detto, non mi aspetto delle svolte geopolitiche o un ulteriore deterioramento degli stessi rapporti”.

Non è ancora tempo di strappi. Il summit Ue-Cina visto da Pelanda

Dal vertice del prossimo 7 dicembre non c’è da aspettarsi un ulteriore irrigidimento dei rapporti tra Bruxelles e Pechino, l’Europa proverà a convergere su una serie di agende da condividere con la Cina. E poi la Germania non ha capito ancora cosa vuole fare da grande. Conversazione con l’economista esperto di Asia

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