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C’è qualcosa che sta curiosamente e progressivamente accomunando giornali che, per le loro aree culturali, sociali e politiche di riferimento, non dovrebbero essere più diversi: il Giornale e il Foglio da una parte e il Fatto Quotidiano e la Repubblica dall’altro. Ma al netto – quest’ultima – degli editoriali festivi del preoccupatissimo e sempre più inascoltato fondatore Eugenio Scalfari.

Li accomuna sempre di più, in particolare, l’insofferenza per il ruolo del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che si ostinerebbe troppo a sostenere, nelle piccole e grandi questioni, il governo delle cosiddette ed ex larghe intese guidato da Enrico Letta. Un governo che, per vizi d’origine, lamentati dal Fatto, o per vizi sopraggiunti, lamentati dal Giornale, dal Foglio e dalla Repubblica dei giorni feriali, meriterebbe di essere liquidato.

Alla sopravvivenza di questo governo sarebbe quindi preferibile l’apertura formale di una crisi, non importa su quale incidente o con quale pretesto. E ciò anche a costo di rimandare gli italiani alle urne a tamburo battente, o proprio per rimandarveli, persino con la “porcata” della legge elettorale in vigore, viste la incapacità di trovare un accordo parlamentare per modificarla in tempo e la impossibilità tecnica di un intervento sostitutivo e risolutivo della Corte Costituzionale.

La quale nell’udienza troppo enfaticamente annunciata del 3 dicembre non dovrà giudicare la legittimità delle norme con le quali si vota dal 2006, ma solo l’ammissibilità del ricorso pervenutole dalla magistratura ordinaria. Verrebbe poi, con i tempi non brevi o brevissimi del Palazzo della Consulta, il turno dell’esame concreto e del verdetto sulla legge, probabilmente a conferma dei dubbi già espressi in altre occasioni dalla Corte su alcuni suoi aspetti, in particolare sull’assenza di una soglia minima di accesso al grande premio di maggioranza, in seggi parlamentari, destinato a chi consegue nelle urne più voti degli altri.

Ai fini della curiosa e progressiva convergenza di giornali tanto diversi sulla strada di una crisi di governo e del ricorso anticipato alle urne risulta particolarmente significativo, per la qualità degli argomenti e per la solita felicità di scrittura, l’editoriale di Giuliano Ferrara appena pubblicato sul suo Foglio sotto questo titolo loquacissimo, vistosamente in rosso: “Indispensabile è il popolo, non Letta”. E tanto meno il presidente che lo protegge dal Quirinale e rischia di chiudersi “a riccio”, se già non si è chiuso, “in una oligarchia lobbistica minore”, dopo la sua emergenziale rielezione al vertice dello Stato, nella scorsa primavera.

Il guaio, non solo per l’amico Giuliano, o per Matteo Renzi, che ad Agorà, di Rai 3, si è appena esibito, in concorrenza con le imitazioni del bravissimo Maurizio Crozza, in una rincorsa del governo Letta finalizzata più a rovesciarlo che a sostenerlo davvero, è che le elezioni anticipate potrebbero risolversi a vantaggio non di un Pd finalmente e giovanilmente guidato dal sindaco di Firenze, non di un centrodestra in mezzo al guado politico e scandalosamente giudiziario del dopo-Berlusconi, ma di Beppe Grillo. Che perde voti solo nelle elezioni locali contrassegnate da un altissimo astensionismo. E smania, forse non a torto, di raccogliere a livello nazionale e più affollato, grazie a un precipitoso e avventato scioglimento anticipato delle Camere, magari dopo le traumatiche e più volte minacciate dimissioni di Napolitano, e l’avventurosa scelta di un suo successore, i frutti delle divisioni, delle risse e delle inconsistenze altrui.

E tutto questo fra le risate di un pubblico che pensa di divertirsi gratuitamente agli spettacoli in piazza del comico genovese, non immaginando quanto potrebbe costargli il biglietto dopo, a urne chiuse, a voti contati e a diciottesima legislatura aperta all’insegna di una confusione maggiore di questa, diciassettesima, in corso da meno di un anno.

Dal Foglio al Fatto quotidiano, ecco il fronte anti-Napolitano

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