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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori, pubblichiamo il commento di Pierluigi Magnaschi, direttore di Italia Oggi.

La procedura elettorale è stata macchinosa. Per capirne la portata e le conseguenze, conviene spiegarla rapidamente. Lunedì scorso infatti non si sono concluse le primarie del Pd ma solo le elezioni dei circoli del Pd. Al voto quindi hanno partecipato soltanto gli iscritti. L’8 dicembre prossimo, invece, si terranno le primarie vere e proprie alle quale possono partecipare, non solo gli iscritti al Pd, ma anche tutti gli italiani che hanno diritto al voto. Ora, nelle elezioni dei circoli Pd ha vinto con uno netto distacco Renzi, che ha raccolto il 46% dei voti. Il secondo classificato è stato Cuperlo che ha preso l’8% in meno dei voti, fermandosi a quota 38%.

Siccome Renzi veniva vissuto, quando andava bene, come un infiltrato nel partito e, quando andava male, addirittura come un berlusconiano (il che, nel Pd, resta un epiteto sanguinoso) il primo round di queste elezioni, quello riservato ai soli iscritti, avrebbe dovuto essere un disastro per lui. Non a caso un anno fa, in occasione delle precedente primarie, fu asfaltato da Pier Luigi Bersani a nome e per conto del partito classico, quello con le radici nel vecchio Pci (mai rinnegate del tutto) e ossificato nella sua tradizione e militanza. Se in un solo anno Renzi è riuscito a diventare (com’è successo questa settimana) il più votato fra gli iscritti al Pd, vuol dire che nel Pd è avvenuta quella «mutazione antropologica» che (come ricorda Barenghi nella bella intervista di Goffredo Pistelli, pubblicata in questo stesso numero) Enrico Berlinguer aveva identificato nell’evoluzione del Psi dei suoi anni.

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