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Virus, la trasmissione ben condotta da Nicola Porro, si distingue da tutti gli altri talk ridotti a omogeneizzato conformista. L’altra sera ha affrontato un tema cruciale. Delicatissimo. Come fare ancora impresa in Italia, nella manifattura, se un giudice o un magistrato può, da solo, decidere quale diritto debba prevalere quando più diritti, legittimi, si trovano l’un contro l’altro armati. Oltre al caso Ilva, discusso in studio, dove il diritto del lavoro si scontra con il diritto alla salute ci sono tantissimi altri casi ad esempio quelli in cui il diritto al lavoro si scontra con il diritto alla sicurezza dei lavoratori.
Porro, tipicamente, mette attorno al tavolo tutte le parti coinvolte e difficilmente si crea un clima da pollaio come in tanti altri talk. In un’ora chi ascolta si fa un’idea di quella che è la posizione di ogni stakeholder. A qualcuno potrebbe anche venire da pensare che se ogni questione fosse discussa e dibattuta così, tutti i problemi potrebbero essere rapidamente risolti. Tant’è.
In studio erano presenti Il Ministro Zanonato, l’editorialista del Corriere Pierluigi Battista e l’imprenditore Preatoni.
A un certo punto compare in studio un nuovo ospite: Antonino Brosio. Un giovane calabrese che sta portando avanti un progetto di ricerca in campo astrofisico. Assieme a un gruppo di altri ricercatori, all’interno di un team di lavoro che vede coinvolte università italiane e straniere, ha appena mandato a 40000 metri di altezza una sonda in grado di eseguire diverse misure a parametri dell’atmosfera.
Porro gli lascia raccontare la storia e, giornalisticamente, il racconto di questa sfida tecnico-scientifica è di grande impatto. Anche perché il quadro che si è delineato in studio fino a qual momento descrive una situazione in cui per via di una giustizia civile e penale che difetta dei giusti contrappesi, investire e fare impresa in Italia non è più giudicato né profittevole, né percorribile. Troppi rischi e troppa incertezza. Contrapporre un giovane che sta provando a portare avanti, seguendo la propria passione, un progetto “spaziale”, offre un originale spiazzamento, un modo per guardare alle cose con una prospettiva diversa. La mela colta dall’albero che non sa ancora cosa la aspetta nel cesto.
A questo punto però Porro a mio avviso commette un errore. Si compiace troppo dello spiazzamento che ha realizzato e non sviluppa come si sarebbe potuto il confronto dialettico tra i due piani che si sono creati: “innovazione/giovane” e “consolidato/vecchio”.
Tra gli ospiti in studio e il giovane non s’instaura un dialogo sui contenuti, sulle questioni di merito. Televisivamente il fatto che i due mondi non si parlano è evidente perché il giovane, dopo aver raccontato la sua iniziativa, non va a sedersi con gli altri. Rimane al centro dello studio come un indiano nella riserva. Il mercato, il mondo degli imprenditori, degli investitori, delle istituzioni è dall’altra parte. Lui è fuori, ancora lontano. Non gli è riconosciuta la stessa autorevolezza. Forse anche giustamente, ma bisognava approfondirne il perché.
Il progetto di Antonino è un progetto di ricerca al momento. Non è chiaro, perché Porro non lo mette in condizione di spiegarlo, se questa iniziativa ha le caratteristiche per poter diventare impresa. Se da questi studi possono venire dei prodotti e/o servizi con un mercato.
Pierluigi Battista mette le mani avanti. Quasi a prevenire richieste di approfondimento di Porro verso il giovane, gli suggerisce di evitare di entrare nel merito dei raggi cosmici o di come si chiamano. La tecnologia a una certa ora, su Rai 2! I telecomandi sono pronti a portare lo share da un’altra parte.
Si perde dunque un’occasione. Quella di riflettere su quanto può essere distante, spesso, un’idea imprenditoriale da un’idea, seppur forte e strepitosa, sul piano scientifico. Di riflettere su come il business rifugga la complessità. Business che va più d’accordo con quelle idee semplici, con poca tecnologia e poca scienza. Facilmente comprensibili a un vasto numero di consumatori. Le cose belle e semplici di C.M.Cipolla.
E la discussione poteva estendersi a come garantire un ambiente business friendly in modo tale che alla moria di tante imprese che operando in settori maturi dove le dinamiche competitive si fanno sempre più dure al punto di provocarne la scomparsa, possano subentrare nuove realtà imprenditoriali in grado di sostenere la domanda di occupati. Si è perso l’occasione per capire se i problemi delle aziende mature alle prese con la giustizia civile e penale in Italia sono gli stessi che deve affrontare una start-up.
Quando Oscar Farinetti scuote la platea della confindustria bolognese dicendo che l’Italia tra dieci anni può essere la locomotiva d’Europa se solo si mette in testa che deve fondare il suo sviluppo sul turismo e il settore agroalimentare creando le condizioni per raddoppiare il numero di turisti che vengono a visitare il nostro paese, implicitamente afferma che per la manifattura il nostro paese non è più adeguato e che non ha alcun senso crogiolarsi a studiare soluzioni politiche a una deriva strutturale e geopolitica, che esula dal controllo che il nostro sistema paese può esercitare.
Eppure, altrove, in tutti quei paesi che hanno una forte tradizione manifatturiera, si cerca di costruire sulle spalle di un tessuto imprenditoriale consolidato delle iniziative, capital intensive, capaci di introdurre elementi d’innovazione su beni che anziché rischiare di diventare commodities diventano prodotti capaci di esercitare un certo appeal sul consumatore.
Perché in Italia nascono poche nuove imprese?
Perché una start-up sopravviva al suo germogliare occorrono le fondamenta e il terreno dove piantarle. Oltre all’idea ci vuole un buon progetto d’impresa. Sin dall’inizio. E il contesto deve fornire la giusta sponda dialettica. Proprio come avviene per le piante. Ecco perché in agricoltura si fanno gli innesti. Per ridurre i rischi dell’attecchimento. Le piante sono innestate su fusti selvatici che hanno un impianto radicale in grado dimostrato di cavarsela sul terreno dove hanno attecchito. Ecco perché di persone che se la sanno cavare sempre si dice che sono innestati sul selvatico. Così dovrebbero essere tutti gli imprenditori.
Dove sono in Italia i fusti con forte impianto radicale, gli imprenditori di lungo corso, finanzieri, industriali che dovrebbero fare da sponda ai nuovi Antonino che al racconto di una buona idea hanno costruito attorno anche un racconto imprenditoriale?
La presenza di operatori economici razionali che investono su di un’iniziativa ragionando su VAN, TIR e rischiando in funzione del loro fiuto garantirebbe lo sviluppo di un tessuto economico e imprenditoriale di stampo squisitamente liberale, privo di quelle distorsioni, di quelle logiche che un indirizzo politico, seppure legittimamente, cerca di realizzare.
Prima che si chiudesse il dibattito in studio invece il Ministro Zanonato ha manifestato il suo impegno a voler cercare di indirizzare il giovane calabrese verso misure di sostegno alla sua iniziativa. Tipico esempio del paternalismo italiano affetto da qual male che viene da lontano, da quel groviglio di rapporti e interessi tra banche, confindustrie e patti di sindacato sotto la regia dello Stato centrale. Il quale, anziché favorire un contesto in cui è il profitto a regolare le scelte degli operatori, ha sempre preferito dare la pacca sulla spalla aiutando ora questo ora quello, senza una logica di medio-lungo termine. E così al giovane Antonino è arrivata la nocciolina, manco fosse una scimmietta ammaestrata.
Molto meglio, e molto più realistico, l’approccio cinico di Preatoni che in modo molto spiccio rivolgendosi al giovane dice: “Non posso aiutarti. Non investo più in Italia.”

Virus mi piace. Ma Porro l’altra sera poteva fare meglio, ecco perché

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