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Per gentile concessione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo l’intervista di Goffredo Pistelli uscita sul quotidiano Italia Oggi.

La voce di Domenico Cacopardo esce dal telefono (è a casa sua, a Parma) con tutta la forza della sua colta sicilianità, pur essendo nato a Rivoli (To) nel 1936. Non l’abbiamo cercato per parlare dei suoi sapidi noir, con i quali è stato il primo vero magistrato-scrittore, vent’anni prima di alcuni suoi ex colleghi nel mainstream politico e culturale, come Gianrico Carofiglio e Giancarlo Cataldo. No, pur avendo un paio di libri in uscita l’anno prossimo, gli abbiamo invece chiesto di parlare di politica estera, di cui è grande esperto. Cacopardo, peraltro fra i fondatori di Aspen Institute in Italia, negli anni ’90, ha lavorato nei gabinetti di vari ministri, divenendo anche consigliere di Stato. In quelle vesti, al fianco di Carlo Scognamiglio, titolare della Difesa, fra il 1998 e il 1999, partecipò alle operazioni italiane in Kosovo, a Pristina, impegnato fra comandi Nato e vertici dell’Uck, ossia il nuovo governo.

Domanda. Cacopardo, dunque ci troviamo alla vigilia di una guerra condotta da un Nobel per la pace. Che effetto le fa?

Risposta. Sono i paradossi di una politica fatta per immagini, anche se, in queste ore, l’iniziativa di Vladimir Putin, che convincerebbe la Siria a consegnare l’arsenale chimico, potrebbe delineare un altro sbocco.

D. Ce lo auguriamo tutti. Però torniamo a Barack Obama sul piede di guerra. Che gliene pare?

R. Negli sviluppo di questa vicenda c’è un aspetto sorprendente e poco rilevato.

D. E cioè?

R. Prima che Obama si recasse al G20, gli speaker del Senato e del Congresso americani si sono accordati sulla risoluzione per l’intervento in Siria. Si prevede un via libera per 60 giorni di operazioni militari, rinnovabili una sola volta per altri 30 giorni, si esclude l’intervento via terra e si prescrivono una serie di attività verso i ribelli siriani.

D. Che cos’è che la colpisce, la tempistica?

R. Esatto. L’ultima guerra del Golfo è durata poco più di un mese e questo termine così lungo, ai nostri giorni e con questa potenza militare, contraddice totalmente la versione accreditata dalla Casa Bianca e cioè che si tratti d’andare a Damasco per dare una lezione ad Assad. No, qui non si prefigura un intervento una-tantum, e non è affatto di tipo limitato, ma è qualcosa di diverso, che ha ben tre mesi davanti. E’ una situazione gravida di incognite, al confine con la malafede.

D. Invece, quali sono i reali obiettivi di questo intervento, semmai ci sarà?

R. Sotto pelle, mi sembra evidente che, colpendo Bashar al Assad, Obama voglio una lezione all’Iran. La vera potenza di quell’area, che non ha mai smesso di crescere militarmente e che secondo molti è il fornitore di armi chimiche della Siria. Peraltro costruite col fluoro fornito, anche in tempi recenti, da aziende britanniche.

D. Ma all’Occidente conviene questa guerra?

R. Niente affato. Basta fare un ragionamento matematico. Accantoniamo per un attimo le primavere arabe su cui, se vuole, ritorneremo. Guardiamo la Siria: qui c’è una rivolta popolare, sostenuta da Gran Bretagna e Francia contro il regime sanguinario di Assad, e tutto quel sappiamo bene. O meglio, che sapevamo. Perché è evidente che la rivolta abbia cambiato pelle. Ce lo racconta Domenico Quirico, che mi sono andato a leggere stamane: i qaedisti hanno assunto un ruolo fondamentale. Insomma, domani (oggi per chi legge, ndr) è l’11 settembre: sono i nemici più duri, anche degli Stati Uniti.

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