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Un partner asiatico per Alitalia? Un’opzione che avrebbe una sua logica, osserva Gregory Alegi, giornalista e storico (direttore di Dedalonews, autore di libri e saggi su temi dall’industria al potere aereo, insegnante all’Accademia aeronautica e alla Luiss). Alegi in una conversazione con Formiche.net parla del presente e del futuro della compagnia di bandiera italiana, nella consapevolezza che “un’alleanza tra un vettore asiatico ed uno europeo, se facesse da sponda più che da testa di ponte nel mercato comunitario, potrebbe avere un senso”.

Quindi Air France non sarebbe la soluzione ideale per Alitalia?
La miglior soluzione per Alitalia sarebbe solo un investitore che sviluppi un’idea di società ad ampio spettro, che colleghi il mondo. Nella misura in cui Air France, o un altro vettore, avesse questo slancio, allora si otterrebbe ciò che sembra gli italiani vogliano. Diverso è immaginare un risanamento in senso matematico-finanziario, ovvero ottenere una cifra prevista a prescindere da ciò che c’è dentro.

Con quali parametri?
Dovremmo chiederci se la discussione sul modello di compagnia, o su quali destinazioni debba servire, sia o meno fondamentale. Deve essere una compagnia che si limita a convogliare su hub esistenti i passeggeri di quella che è comunque una grande economia europea e che quindi presumibilmente sviluppa una certa quantità di traffico? O una che per un certo numeri di voli e servizi è in grado di portarceli da sola?

Condivide la scelta del governo di aprire a Poste Italiane?
Se la situazione in cui versa la compagnia è quella che ci veicolano i media, con un’assoluta mancanza di cassa, una soluzione ponte come Poste potrebbe anche essere adatta. In termini di logica industriale si fa più fatica a comprendere: non credo che la risposta possa essere solo nei quattro aeromobili delle Poste. Si è sentito parlare di alcune possibili sinergie, come la rete degli sportelli per vendere il prodotto Alitalia, ma non so se alla fine possano essere o meno risolutive.

Quindi che futuro scorge per Alitalia “postale”?
In un’idea che magari a noi non viene in mente oppure che non è stata ancora diffusa, come uno sviluppo della logistica con cui si abbia Poste come collettore e Alitalia come vettore. Potrebbe persino essere un modello estremamente innovativo. Ma fino ad oggi non se n’è parlato.

Come vedrebbe l’ipotesi di un partner asiatico per Alitalia?
Potrebbe avere un senso proprio perché non è un diretto competitor. Sono almeno quindici anni che in Europa si gioca per una ristrutturazione dell’intero settore del trasporto aereo. L’allora commissaria europea Loyola de Palacio, scomparsa alcuni anni fa, disse chiaramente che non ci sarebbe stato spazio nel vecchio continente per più di tre o quattro grandi compagnie. Un partner asiatico non ha questo tipo di problema a livello di sopravvivenza in Europa. Per cui potrebbe essere portato più ad una logica sinergica che non ad una di riassorbimento o riduzione di un concorrente.

Le condizioni interne all’Ue aiutano?
Non va dimenticato che mentre all’interno dell’Ue, grazie al mercato unico, le condizioni competitive sono da tempo note, in quanto chiunque con il possesso dei requisiti tecnici può aprire le rotte che vuole: fuori dai grandi aeroporti non vi sono neanche problemi di slot. Invece l’intercontinentale in larga misura è ancora subordinato da accordi bilaterali. Il requisito di internazionalità, il famoso 51% dell’azionariato, è ancora un vincolo molto forte. A quel punto un’alleanza tra un vettore asiatico ed uno europeo, se facesse da sponda più che da testa di ponte nel mercato comunitario, potrebbe avere un senso.

Ma quanto spazio c’è nei grandi aeroporti italiani?
Non sono affatto saturi, si presterebbero ad un’operazione per usarli come luogo di scambio. Dobbiamo pensare all’hub come a un luogo che l’80% dei passeggeri non ha come destinazione finale. Gli aeroporti italiani hanno margini di crescita, al contrario ad esempio di Londra. Non sto dicendo che questa sia una strategia obbligata ma che una logica ci sarebbe e che Alitalia avrebbe un partner con accesso a mercati in crescita e interessato a crescere con lei.

Un piano credibile di esuberi e uno stravolgimento delle rotte: due punti di partenza condivisibili?
Non so quanto ci sia da tagliare sui costi del personale che non corrisponda ad una riduzione di servizi. A quel punto bisognerebbe chiedersi quale sia il disegno sotteso, ovvero il lungo raggio non si può tagliare perché ne è rimasto pochissimo; il corto-medio era quello su cui si fondava il piano Fenice. Sarebbe uno stravolgimento, ma è difficile immaginare, al di là del puro risparmio di costi, quale di questi tagli sia funzionale in termini strategici di rilancio duraturo.

twitter@FDepalo

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