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Razionalizzare la rete italiana di ambasciate, consolati, istituti di cultura nel mondo, per adeguarla alle moderne esigenze geo-politiche e alle necessità di un’intelligente spending review. Accorpando in un’unica struttura flessibile e snella tutti i rappresentanti in loco del “Sistema Paese” compresi i responsabili dell’Istituto per il commercio internazionale. Gli obiettivi indicati  dal vice-ministro degli Affari esteri Marta Dassù nel corso dell’audizione di fronte alle Commissioni competenti di Montecitorio e Palazzo Madama per illustrare le linee guida della riorganizzazione delle nostre rappresentanze diplomatiche risponde a obiettivi strategici ben precisi. Funzionali alla “diplomazia per la crescita” già disegnata dal titolare della Farnesina Emma Bonino nella presentazione alle Camere dell’indirizzo programmatico del suo dicastero.

L’arretratezza della nostra rappresentanza internazionale

Ridefinire la struttura, l’articolazione, la missione e le prerogative del network diplomatico-consolare italiano, spiega il vice-ministro degli Esteri, non è una libera opzione ma una stringente necessità provocata dalla nostra presenza negli scenari mondiali, prefigurata fin dalla manovra finanziaria del 2007, e dall’urgenza di rigore nei conti pubblici emersa con forza nella legge di bilancio del 2011. La nostra rete di rappresentanza, con 319 sedi fra ambasciate, consolati, istituti italiani di cultura, è tra le prime 4 nel pianeta per ampiezza e diffusione capillare. Tuttavia sconta criticità molto serie a causa della scarsità di risorse umane necessarie per renderla funzionale e dinamica. Il personale è diminuito di mille unità rispetto al 2004. Attualmente è pari alla metà dei lavoratori impiegati nelle strutture internazionali di Francia, Germania, Regno Unito, e a un terzo del loro staff diplomatico. Roma destina lo 0,24 per cento delle risorse pubbliche alla rete diplomatico-consolare, a confronto con l’1,78 di Parigi, con l’1,24 di Berlino, con lo 0,36 di Madrid.

Le proposte per invertire la rotta

La vulnerabilità dell’Italia all’instabilità proveniente dalla sponda Sud del Mediterraneo, l’esigenza di consolidare il Trattato europeo di libero scambio con gli Usa, la spinta a mettere in rete nostre proiezioni culturali e artistiche, richiedono un profondo ripensamento della distribuzione geografica delle nostre sedi, troppo concentrata in Europa e poco radicata nei mercati emergenti dei Brics. A riprova dell’esistenza di un’organizzazione “incoerente perché ancora modellata su mezzo secolo fa”, l’ex direttore delle attività internazionali dell’Aspen Institute ricorda che ben il 34 per cento delle nostre ambasciate – il 41 per i consolati – è localizzato nel Vecchio Continente per un totale di 44 rappresentanze. Tutto ciò in un’Unione Europea la cui politica estera ormai viene decisa a Bruxelles.

Per una nazione che vive in una proiezione internazionale e che importa energia per l’80 per cento del proprio fabbisogno, per gli italiani che lavorano nel mondo e per la promozione della nostra domanda interna, la strada prospettata da Marta Dassù è puntare sulle realtà in espansione. E quindi “optare sul riorientamento della rete diplomatico-consolare favorendo il dimagrimento delle strutture tradizionali e il nostro consolidamento nel mondo nuovo”. È lì che i servizi per la vita e lo sviluppo delle comunità italiane si vanno sempre più rafforzando, al contrario di quanto accade nei paesi in cui l’integrazione dei nostri connazionali appare acquisita.

La spending review messa in campo dalla Farnesina

Sfidare lo status quo, “vero nemico degli interessi nazionali”, è la parola d’ordine con cui si può concretizzare la spending review illustrata dal vice-ministro degli Esteri. Un’operazione che “non può essere basata su tagli lineari indiscriminati che hanno penalizzato comparti come la promozione della cultura e della lingua o la cooperazione internazionale in cui era più facile incidere, bensì su interventi selettivi come la chiusura di diversi centri non rispondenti alle esigenze strategiche italiane”. Il piano messo a punto dalla Farnesina è già pronto e prevede l’eliminazione di 13 sedi, compresi alcuni istituti italiani di cultura, e 3 aperture.

L’esame nel merito degli interventi è rinviato alla ripresa autunnale dei lavori parlamentari, ma un dato è certo. L’abolizione di ambasciate e consolati verrà compensata da un network snello e flessibile di strutture sostitutive: tecnologie informatiche nelle rappresentanze, consolati onorari, sportelli consolari nei centri periferici. Non si tratterebbe del primo intervento in assoluto di riduzione della spesa. Fra il 2007 e il 2011 24 sedi consolari sono state chiuse, e altre ne sono state aperte tra cui quella nel Dubai. Nel 2011 il personale diplomatico dirigenziale ha visto una riduzione drastica del 20 per cento di unità, mentre il corpo di funzionari è stato diminuito del 10 per cento. Ancorché lunga e delicata, la direzione di marcia intrapresa dal governo appare obbligata, oltre che in sintonia con le scelte assunte negli ultimi anni dagli altri principali Paesi europei.

La spending review della Farnesina sulle ambasciate

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