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Tra Cina e Stati Uniti la tensione sta salendo di ora in ora, su un terreno, quello commerciale, che più scivoloso non potrebbe essere. Il bandolo della matassa sono sempre loro, le terre rare, il nuovo metro di misura della civiltà e del progresso. Pechino, non è il caso di dilungarsi troppo, è padrona indiscussa del 70% delle miniere ricche di materie prime strategiche sparse per il globo. Il che dà al Dragone un’arma potente in termini di esportazioni, visto che buona parta dell’industria della Difesa mondiale, ma anche quella tecnologica, dipende proprio dalla presenza sul mercato dei minerali critici.

Basti pensare a quanto successo pochi giorni fa, quando da Pechino è partito l’ordine di scuderia a tutte le aziende cinesi che estraggono minerali: chi vuole comprare dalla Cina prima dovrà chiedere l’autorizzazione al governo. Come detto, questi materiali sono fondamentali in numerosi settori, dall’hi-tech all’automotive fino alla difesa. La loro importanza è tale che alcune case automobilistiche statunitensi hanno ridotto la produzione a causa della scarsità di terre rare, mentre la Cina ha sfruttato la leva dell’offerta per reagire ai dazi imposti dagli Usa.

Gli Stati Uniti, tuttavia, si stanno attrezzando da tempo, grazie a una serie di operazioni ben calibrate che mirano a rendere le catene di approvvigionamento il più indipendenti possibile dalle forniture cinesi. D’altronde, Washington non può permettersi di rimanere appesa ai malumori della Cina. E così, nelle ore in cui Donald Trump è volato in Israele per raccogliere i frutti dell’accordo di pace che ha posto fine al conflitto in Medio Oriente, il Pentagono ha cercato di procurarsi fino a un miliardo di minerali critici. Uno sforzo non da poco, messo nero su bianco negli nei documenti presenti negli archivi pubblici pubblicati dalla Defense Logistics Agency dello stesso Pentagono. “La Difesa americana è incredibilmente concentrata sulle scorte”, ha rivelato una fonte molto qualificata al Financial Times.

La medesima fonte ha tenuto a chiarire come i minerali critici siano e saranno una priorità di sicurezza nazionale per il Pentagono, perché sono cruciali praticamente per ogni sistema d’arma, così come  per le tecnologie per i sistemi di rilevamento radar e missilistici. “La capacità della Cina di spegnere l’offerta di questi minerali critici avrebbe un effetto diretto, palpabile e negativo sulla possibilità degli Stati Uniti di mettere in campo il tipo di capacità high-tech di cui avremo bisogno per qualsiasi tipo di competizione o conflitto strategico”, ha detto Stephanie Barna, avvocato di Covington & Burling a Washington.

Tutto questo mentre i dazi americani continuano a lavorare ai fianchi il Dragone. L’export cinese verso gli Usa segna, infatti, a settembre un crollo annuo del 27% (ma +8,6% su agosto), in calo per il sesto mese di fila. L’import, secondo i dati delle Dogane mandarine, cede il 16,1%. Le minori spedizioni verso gli Usa sono più che compensate: +12,9% verso l’India e +14,7% verso i Paesi dell’Asean (+22,5% Thailandia e +22,3% Vietnam), a segnalare la catena di approvvigionamento diversificata e l’aumento dell’import per la domanda interna che pone sfide alle industrie nazionali. Poi, +8,2% verso l’Ue e -11,3% verso la Russia che ha deciso restrizioni su alcuni beni cinesi.

Terre rare, cosa fa il Pentagono per blindare la Difesa Usa

Dopo l’improvvisa stretta sulle esportazioni di minerali critici, decisa da Pechino, Washington accelera sulle scorte di materie prime critiche. Arrivando ad acquistare fino a un miliardo di dollari di minerali in poche settimane. Mentre crolla l’export cinese verso gli Stati Uniti

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