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Sulla base della Legge 135/2012 e del DPCM del 22 gennaio 2013, il Ministro Zanonato ha correttamente avviato la procedura per la riorganizzazione del Ministero dello Sviluppo Economico, che dovrà prevedere una riduzione dei dirigenti di prima e seconda fascia. Essendo il quanto già stabilito dal dettato normativo, rimane da stabilire il come. Sul quale la bozza che circola desta non poche perplessità. In particolare per un aspetto: la fusione di tre dipartimenti in uno (impresa e internazionalizzazione, energia e comunicazioni), a fianco del dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, presenta infatti molti rischi, in particolare per l’energia, come ho già avuto modo di rilevare in un articolo apparso venerdì su Staffetta Quotidiana (www.staffettaonline.com).

In particolare, ne vedo due, che sono correlati inversamente tra loro ma che sono entrambi presenti nell’attuale bozza, in attesa di conoscerne l’esatto dosaggio, in funzione di ciò che alla fine sarà scritto e delle figure in carne ed ossa che interpreteranno i diversi ruoli:

1)      Con tutta probabilità si crea un filtro non necessario tra il governo effettivo di settori importanti per la vita economica del Paese e i vertici del Ministero. Non è infatti immaginabile che il capo dipartimento della nuova megastruttura sia il propulsore dell’iniziativa in tutti gli ambiti tematici che ricadrebbero sotto la sua  competenza. Più probabile che in almeno 2 su 4 (o peggio 3 su 4) sia destinato ad essere piuttosto il terminale delle direzioni generali, che prima di porre le proprie istanze all’attenzione dei vertici del Ministero devono convincerlo in merito. A meno che il capo dipartimento eserciti il proprio ruolo debolmente, come è talvolta accaduto in alcuni Ministeri (si pensi all’esperienza dei Beni Culturali, che infatti hanno abbandonato da tempo quel modello), e di fatto le direzioni generali continuino a dialogare direttamente con il primo piano di via Veneto. Ma allora perché creare orpelli inutili e peraltro ad oggi imprevedibili non solo per chi è dentro il Ministero ma anche e soprattutto per chi è soggetto alle sue decisioni?

2)      A fronte del primo concreto rischio, ce n’è in effetti un secondo di segno opposto, che vede le direzioni generali afferenti allo stesso ambito tematico (penso alle 3 energetiche e alle 2 di comunicazioni) agire in ordine sparso, senza un coordinamento forte, oggi assicurato da un capo dipartimento dedicato con forti competenze tecniche. Il pericolo è particolarmente forte nel caso dell’energia, almeno oggi, visto che le deleghe sono state assegnate in maniera incompleta (mentre alle Comunicazioni Catricalà, che conosce bene il settore, ha una piena investitura) e di fatto nella situazione attuale si potrebbe trovare il Ministro in prima persona a svolgere un ruolo di raccordo. Per il quale ci vorrebbero doti di abnegazione, costanza e competenza che, aldilà di chi sia l’inquilino pro-tempore, non è dato sperare nel vertice di via Veneto.  

Se tuttavia occorreva tagliare i ruoli dirigenziali per esigenze di spending review, cosa si potrebbe fare diversamente dall’attuale bozza del Ministro per mantenere un modello organizzativo efficiente, almeno quanto l’attuale? La strada maestra, anche se forse meno popolare perché i capi dipartimento sono esterni mentre i direttori generali sono quasi tutti interni, non può che essere quella di mantenere gli attuali dipartimenti, tagliando il numero delle direzioni generali esistenti. Ad esempio, quelle relative all’energia potrebbero passare da tre a due, una per la fase upstream della filiera (approvvigionamento, produzione e trasporto) e una per quella downstream (distribuzione e vendita). Ma non si vede neppure perché ci debbano essere direzioni generali distinte per la politica commerciale internazionale e le politiche di internazionalizzazione e la promozione degli scambi (come se l’una fosse scollegata dall’altra). Ma anche i 4 servizi centrali previsti nell’attuale bozza potrebbero essere facilmente ridotti a 3. In alternativa, se i tagli alle direzioni generali non si potessero fare o non fossero sufficienti, si potrebbe pensare a una soluzione un po’ immaginifica ma non priva di fascino: un Dipartimento delle Reti, che metta insieme due settori, Comunicazioni ed Energia, che prematuramente hanno condiviso binari aziendali comuni all’apogeo della new economy ma che proprio ora vedono basi tecnologiche e regolamentari andare sempre più in quella direzione. Una soluzione che peraltro eviterebbe il probabile scenario di un dipartimento monstre per l’impresa, l’internazionalizzazione, l’energia e le comunicazioni dove questi ultimi due settori farebbero la fine di vasi di coccio, accanto a quelli di ferro, visto il core business tradizionale del Ministero e la natura tecnica dei due filoni tematici.

Visto che il Ministro Zanonato si è dato 6 mesi per la riorganizzazione del Ministero, ci auguriamo che ci sia tutto il tempo e lo sforzo perché il modello organizzativo che alla fine emergerà non solo non sia più inefficiente dell’attuale (esito certo in base all’attuale bozza) ma possa portare a innovazioni positive rispetto al quadro attuale. Naturalmente in attesa del prossimo inquilino di via Veneto.

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