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Aveva rappresentato uno dei fenomeni più originali della campagna elettorale del 2013. E sembrava veleggiare verso la costruzione di un progetto liberale incarnato con coerenza e freschezza nell’arido panorama politico italiano. Ma il trauma delle dimissioni del suo creatore Oscar Giannino ha costituito il preludio di una lunga stagione di burrasca, con un crescendo che ha portato Fermare il declino a un passo dalla deflagrazione.

Le tappe della spaccatura di Fare

A seguito dell’uscita di scena dell’editorialista le redini del movimento liberale-liberista vennero assunte dall’avvocato Silvia Enrico, costretta a fronteggiare a febbraio il responso fallimentare delle urne e poi a rivitalizzare le energie di aderenti e volontari profondamente scoraggiati. Mesi turbolenti nei quali la bussola è stata il recupero dei legami con i nuclei territoriali. E che hanno trovato sbocco a maggio nel Congresso di Bologna, pagina di svolta nella breve storia di Fare. Perché al giovane legale è subentrato come nuovo leader l’economista Michele Boldrin, promotore di una strategia di alleanze in vista dei prossimi appuntamenti elettorali. Boldrin ricerca di interlocutori privilegiati orientata nei confronti dell’ex responsabile dello Sviluppo economico Corrado Passera e verso gruppi della galassia liberale a partire dal PLI per promuovere un percorso di aggregazione per il rinnovo del Parlamento europeo nella primavera 2014.

Progetto che ha avuto riflessi pesanti nel partito che fu di Luigi Einaudi, Benedetto Croce, Giovanni Malagodi, come testimoniano i dissensi tra il segretario Stefano De Luca e il presidente del Consiglio nazionale Paolo Guzzanti. Protagonista a sua volta di un aspro confronto con Boldrin nel corso della conferenza stampa di presentazione della “Costituente neo-liberale”. Ma le tensioni maturate in Fermare il declino negli ultimi mesi sono venute alla luce in modo plastico e virulento questa settimana. Con due documenti di fuoco che certificano un salto di qualità verso la spaccatura irreversibile.

Il j’accuse di Silvia Enrico contro Michele Boldrin

Nel corso della Direzione di Fare di domenica, la minoranza rappresentata da Silvia Enrico e dallo studioso di affari costituzionali Diego Menegon, fautori di un confronto e dialogo con Italia Futura e con le componenti liberali di Scelta civica, ha presentato una mozione contenente una denuncia durissima verso i vertici. Accusati di “non aver voluto stabilizzare il partito con un congresso autunnale”, di “comunicazione penosamente insufficiente nei confronti degli aderenti e inefficace verso l’esterno”, di “sostanziale assenza dal dibattito politico nazionale e dall’informazione giornalistica”, di “rapporti fuori controllo con il territorio e con le direzioni regionali”, di “appannamento e rigetto dell’originaria identità del movimento”, di “mancata trasparenza nella gestione dei fondi”. Il testo, che chiedeva le dimissioni del coordinatore e del gruppo dirigente con la convocazione entro il 31 gennaio del congresso per eleggere una nuova leadership, è stato bocciato con appena cinque voti favorevoli. A riprova della netta prevalenza della linea portata avanti dall’economista di Padova.

La reazione di Boldrin

L’ultima tappa di uno scontro che appare insanabile risale a lunedì. Perché all’atto di accusa degli oppositori interni Michele Boldrin ha risposto con una lettera aperta pubblicata sulla sua pagina Facebook e intitolata “Ogni limite ha la sua pazienza”. Lo studioso imputa a “una sparuta minoranza dei membri di Fare la volontà distruttiva fondata sul boicottaggio attivo di ogni iniziativa, denigrazione dell’organizzazione e del suo operato”. Ritiene la mozione degli avversari “un libello pieno d’imbarazzanti bugie” e annuncia che “non permetterà a chi ha sempre remato contro di impedirci di perseguire il nostro obiettivo”. La novità che sembrava aver portato un vento atlantico e liberale nelle sabbie mobili della politica nazionale è così destinata a naufragare tra condanne e anatemi tipici dei gruppi extraparlamentari dell’Italia anni Settanta.

Tutti i rimbrotti di Boldrin contro i declinisti di Fare

Aveva rappresentato uno dei fenomeni più originali della campagna elettorale del 2013. E sembrava veleggiare verso la costruzione di un progetto liberale incarnato con coerenza e freschezza nell’arido panorama politico italiano. Ma il trauma delle dimissioni del suo creatore Oscar Giannino ha costituito il preludio di una lunga stagione di burrasca, con un crescendo che ha portato Fermare il declino a un…

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