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“Un buon cattolico si immischia in politica, offrendo il meglio di sé, perché il governante possa governare”, ha detto stamane il Papa durante la consueta omelia pronunciata a Santa Marta poco dopo l’alba . Raramente, fino a oggi, Francesco aveva parlato di politica, nei suoi interventi. Oggi l’ha fatto, prendendo spunto dalle letture bibliche per riflettere “sul servizio dell’autorità”. Per il Pontefice, il cattolico non deve rimanere al di fuori dell’agone politico, tutt’altro. Deve buttarsi nella mischia, sostenere chi governa e assumersi le proprie responsabilità: “Nessuno di noi può dire ‘Ma io non c’entro in questo, loro governano’. No no, io sono responsabile del loro governo e devo fare il meglio perché loro governino bene e devo fare il meglio partecipando nella politica come io posso”.

Bergoglio cita la Dottrina sociale della chiesa, quando afferma che “la politica è una delle forme più alte della carità, perché è servire il bene comune”. Per chiarire ancora meglio il concetto, Francesco ha avvertito che nessuno può “lavarsene le mani, ma che tutti dobbiamo dare qualcosa”. Ma se il governato ha il dovere di interessarsi alla cosa pubblica, il governante deve mostrare “amore al popolo e umiltà”. Ogni uomo donna che deve prendere possesso di un servizio di governo, ha continuato il Papa, “deve farsi queste due domane: Io amo il mio popolo per servirlo meglio? Sono umile e sento tutti gli altri, le diverse opinioni, per scegliere la migliore strada?”.

Il timore per i silenzi del Papa
Per il governante, “bisogna pregare perché possa governare bene, perché ami il suo popolo, perché lo serva e sia umile. Un cristiano che non prega per i governanti, non è un buon cristiano”. Viene in parte smentito, dunque, quel distacco del Papa dalla politica che da più parti era stato sottolineato negli ultimi mesi. Dopotutto, Bergoglio non aveva mai accennato ai rapporti tra stato e chiesa né era intervenuto sulle questioni cosiddette sensibili che negli anni scorsi avevano creato più di una tensione e di una incomprensione con i governi nazionali. Invece, come dimostrano le chiare parole di oggi, Francesco vuole che il cattolico si impegni a fondo in politica, partecipi alla vita pubblica e sostenga i governanti.

L’incontro con il Clero romano
Dopo la messa, il Papa si è recato a San Giovanni in Laterano per incontrare il Clero romano. Un incontro che si è svolto in forma strettamente privata, ma dal quale è filtrata qualche indiscrezione. Francesco ha riflettuto sulla “fatica del sacerdote”, rispondendo poi a cinque domande che gli sono state poste. Il Pontefice argentino è tornato sul documento dal lui stesso scritto cinque anni fa e inviato al Clero di Buenos Aires. Una lettera che riprendeva passi salienti del documento finale della V conferenza dell’episcopato latinoamericano di Aparecida, che si era svolta l’anno precedente. Conversione pastorale, accoglienza nella verità, periferie esistenziali: questi i punti su cui Bergoglio si è soffermato, spiegando che la “fatica fa parte della missione sacerdotale, perché quando un prete è in contatto con il suo popolo, fa fatica”.

Il prete intraprenda “strade coraggiose”
E’ vero che la chiesa “ha problemi gravissimi”, ha detto il Papa, ma è altrettanto possibile sostenere che “mai la chiesa è stata tanto bene come oggi. Ci sono santi riconosciuti anche dai non cattolici, ma c’è una santità quotidiana di tanti uomini e donne, e questo dà speranza. La santità – ha aggiunto – è più grande degli scandali”. Ma è attorno alla figura del prete che Francesco ha voluto soffermarsi più a lungo: il sacerdote deve imparare a uscire, a “intraprendere strade coraggiosamente creative” (ha portato a esempio alcune iniziative da lui sostenute a Buenos Aires) e a recarsi in quelle “periferie esistenziali” fino a oggi troppo abbandonate.

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