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A livello di regole e sistemi – prendendo come esempio i dati statistici e anagrafici – nella storia moderna dell’umanità (perlomeno dal sec. XVII), la comunità internazionale ha successivamente formato un quadro completo per la circolazione transfrontaliera di persone fisiche, di navi – e in seguito treni, auto ed aeromobili – e di capitali e merci attraverso norme e disposizioni istituzionali generalmente concordate.

Al momento, l’importanza dei dati come risorsa sta aumentando di giorno in giorno e le domande sono:
1. Quali regole dovrebbero essere seguite e in base a quali disposizioni istituzionali dovrebbe essere effettuato il trasferimento transfrontaliero non più di soggetti od oggetti semoventi, bensì dei dati?
2. Quali diritti e obblighi hanno rispettivamente le parti interessate come i produttori di dati, gli utenti, gli esportatori e i destinatari?
3. Qual è la relazione tra l’archiviazione locale dei dati e il trasferimento transfrontaliero?
4. Qual è il rapporto tra lo Stato e le società di dati?

Questi saranno problemi difficili per la governance globale in futuro. Ad esempio il Giappone, l’ospite del G20 nel 2019, ha proposto di includere la governance globale dei dati nell’agenda del G20. Il vertice del G20 di Osaka del 2019 è stato il quattordicesimo incontro: un forum di venti membri che insieme rappresentano la maggior parte dell’economia mondiale. Si è tenuto dal 28 al 29 giugno 2019 presso l’International Exhibition Center di Osaka. È stato il primo vertice del G20 ad essere ospitato in terra nipponica; i presenti erano: Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Repubblica Popolare della Cina, Repubblica di Corea (sud), Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Russia, Repubblica Sudafricana, Stati Uniti d’America, Turchia ed Unione Europea.

Al momento, anche i ricercatori che sono in prima linea nella tecnologia dell’Intelligenza artificiale ammettono che gli esseri umani sono ancora molto lontani dalla creazione di robot che raggiungano un quoziente intellettivo che si possa comparare con quello umano. Attualmente, i rischi alla sicurezza che l’intelligenza artificiale può portare sono non derivate dall’IA in quanto tale, bensì sono quelle minacce che gli stessi uomini potrebbero – nell’usare l’IA – recare danni ad altri esseri umani. Per dirla meglio, l’Intelligenza artificiale – almeno stando a ciò che è noto – per fortuna è ancora lontana dal giungere alla piena di coscienza di se medesima, ossia dal non aver più bisogno del suo creatore: pericolo su cui mi sono soffermato spesso.

Pertanto, il modo in cui gli esseri umani esercitano l’autoregolamentazione è la questione morale più urgente nel processo progressivo della tecnologia riguardante l’intelligenza artificiale.

Poco tempo fa, Intelligence Squared – una società di media che organizza dibattiti dal vivo e altri eventi culturali in tutto il mondo, fondata nel 2002 a Londra, dove ha sede la sede centrale, e ha filiali in Australia, Hong Kong e Stati Uniti d’America, e organizza dibattiti che si svolgono nel tradizionale stile Oxford (trattazione di un tema attraverso un confronto dialettico tra due o più interlocutori, ciascuno dei quali rappresenta posizioni, punti di vista od opinioni diverse davanti a un pubblico dal vivo) – tale gruppo ha invitato diversi esperti di questioni internazionali per condurre un dibattito a New York sul tema: Are China and the U.S. Long-term Enemies? (RP della Cina e Stati Uniti d’America sono nemici a lungo termine?).

Hanno preso parte, a favore della mozione: Peter Brookes, Senior Fellow presso la Heritage Foundation e John J. Mearsheimer, professore di scienze politiche all’Università di Chicago e appartenente alla scuola di pensiero realista (che affonda le sue basi nelle opere di Niccolò Machiavelli); contro la mozione: Robert Daly, direttore del Kissinger Institute on China & the U.S. e Kevin Rudd, ex primo ministro australiano (2007-2010, 2013).

Come previsto, Mearsheimer ha parlato della “tragedia della politica delle grandi potenze”. Come parte opposta, l’ex primo ministro australiano Kevin Rudd (2007-2010, 2013) ha detto che la sfida della diplomazia è garantire che la guerra non abbia luogo, e ci sono possibilità che l’equilibrio possa reggere: ovviamente l’ex premier si riferiva alle conflagrazioni mondiali e non a quelle localizzate o, per meglio dire, regionali.

La logica di Rudd si applica anche all’Intelligenza artificiale, in quanto essa è una tecnologia che può fare sia il bene che il male. Sebbene il giudizio e la scelta del bene e del male sia per gli esseri umani un’antica proposizione filosofica soggettiva – per cui diventa difficile avere una visione completamente coerente – su una questione così grande come la sopravvivenza fondamentale del genere umano, essi cittadini quali elementi razionali di società civili – non intese solo nel parametro hegeliano, ma nel senso comune del termine “civile” – dovrebbero essere in grado di decidere su cosa sia buono o cattivo, al di là degli interessi statali o di etnia.

Indirettamente, a tal proposito, porto l’esempio di quando nel giugno 2018, la Xunfei Hkust (Hong Kong University of Science and Technology) ha organizzato una discussione sulla concorrenza tra traduzione umana e futura traduzione automatica: in quanto già oggi – a distanza di cinque anni da quell’evento – noi tutti ci rendiamo perfettamente conto che le traduzioni delle piattaforme internet non sono di certo all’altezza nemmeno di uno studente liceale.

Il responsabile dell’azienda ha affermato che lo scopo di sviluppare la tecnologia IA della traduzione non è quello di sostituire le capacità degli esseri umani, ma aiutare il lavoro di traduzione a essere più preciso e facile. Per cui lo scopo di quell’incontro ha dato un’immagine positiva dell’intelligenza artificiale, che essa serve gli esseri umani e se viene utilizzata per un’applicazione buona o dannosa dipende in ultima analisi dalla persona che padroneggia la tecnologia.

L’attuale dibattito internazionale sulla questione si è molto acceso, e gli ambienti accademici di Stati Uniti d’America e Repubblica Popolare della Cina sono più preoccupati, timore condiviso da esperti e think tank di ogni parte del mondo. Washington e Pechino – che sono le maggiori potenze anche in campo tecnologico – lanceranno nuove sfide reciproche, che porteranno alla ricomparsa dell’ordine parallelo durante la guerra fredda?

In effetti la rapida crescita della Repubblica Popolare della Cina rappresenta – per gli Stati Uniti d’America – come una minaccia strutturale e non tanto bellica, nel senso che Pechino sta facendo passi da gigante anche nell’intelligenza artificiale.

Al punto che Martin Wolf – capo dei commentatori economici del Financial Times – ha affermato che la RP della Cina non smette di crescere e gli Stati Uniti d’America non cessano di preoccuparsi; a meno che non ci sia una situazione, come un’invasione di alieni da qualche wormhole, e l’umanità affronti un nemico comune, allora è possibile per la Casa Bianca e la Città Proibita si uniscano.

IA e nuovo ordine mondiale. I dati e le regole, il buono e il cattivo

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