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Il 31 luglio 2013 il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe è stato riconfermato, per la settima volta, capo dello Stato alla guida del Paese sudafricano. Le accuse di brogli denunciati dall’opposizione, capeggiata da Morgan Tsvangirai, non cambieranno il risultato: il Presidente per i prossimi 5 anni resterà Mugabe. E nella situazione di stallo politico – Mugabe è presidente dal 1980 – anche la situazione economica non appare confortante.

Crescita del Pil
Nella relazione dell’Ufficio Studi di Sace dedicata alle elezioni nel Paese sudafricano, il gruppo assicurativo finanziario ha individuato criticità e punti di forza – anche se pochi – della nuova rielezione del presidente Mugabe. Il Paese è uscito da una grossa crisi inflazionistica grazie all’introduzione della doppia moneta (dollaro Usa e rand sudafricano) che ha permesso di risollevare le finanze statali (le entrate del governo sono passate dal 16% del Pil nel 2009 al 36% del PIL nel 2012), ma continua ad avere un debito pubblico estero sproporzionato pari all’88% del Pil.

L’accordo (non monetario) con il Fmi
Un piccolo spiraglio di aria fresca potrebbe portarlo, se andrà a buon fine, l’accordo informale siglato con il Fmi per il periodo aprile-dicembre 2013, lo Staff Monitored Program (Smp), che prevede il monitoraggio delle politiche economiche adottate dal governo dello Zimbabwe, in particolare nella gestione delle finanze pubbliche e nella regolamentazione del sistema finanziario.

Rischi troppo elevati
Nel complesso, però, la fiducia degli investitori esteri verso il nuovo-vecchio Zimbabwe di Mugabe resta molto scarsa: le politiche repressive e imprevedibili attuate nel passato dal Presidente Zimbabwese non modificano la percezione del rischio che si ha del Paese. L’accentramento delle decisioni politiche sulle mani di un unico uomo, Mugabe, rendono lo Zimbabwe, secondo la relazione Sace, un paese poco accattivante per gli investitori esteri.

Zimbabwe, ecco i (tanti) rischi secondo Sace

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