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Non so mai se debba ridere o piangere quando leggo certe cose. Di solito scelgo la prima strada, perché ridere fa sempre buon sangue.

Anche stavolta. Di che si tratta?

Lettera43 riporta il contenuto di due articoli pubblicati su due giornaloni – Wall Street journal e Financial Times – ecco il link: http://www.lettera43.it/economia/macro/wsj-italia-perche-non-torni-alle-citta-stato_4367558206.htm

Bene. Cosa dicono i due autorevoli editorialisti, la Kurapovna (WSJ) e il solito Barber (FT)?

Kurapovna: “L’Italia non ha mai funzionato come Stato centralizzato”, quindi dovrebbe tornare sui suoi passi, facendo cosa? Ma robetta da niente: ritorno alle Città-Stato italiane, mix di antica Grecia della pòlis ed oligarchie al comando per il bene comune.

Barber: l’unità europea è in crisi, in molti vorrebbero ridisegnare i confini, ritornando magari al Sacro Romano Impero, a Carlo Magno.

A voler essere intellettualmente onesti, potremmo dire che quando Marx diceva che soltanto i reazionari riescono a stare nel solco della storia, perché ad essa e al suo progresso si oppongono, non aveva tutti i torti, ma qui c’è ben altro.

C’è la solita spocchia degli anglofoni bulimicamente affamati di carne italiana e sangue dell’agnello sgozzato e, inseguendo questa tendenza ormai divenuta natura, rischiano perfino di cementare la scienza dell’ovvio, di cui non sentiamo particolarmente il bisogno.

Allora: cose di questo tenore ne abbiamo scritte e dette, cari amici dei giornaloni di punta del jet-set finanziario anglosassone, tante, e ben più solidamente argomentate, solo che noi viviamo nella patria già descritta da antonio Gramsci, qui gli intellettuali e i giornali sono sempre a caccia del mondialismo cosmopolita dei salotti-bene, e un tanto al chilo; e, se provi a dire qualcosa contro questa visione densa quanto il ronzare di una mosca, ti senti replicare: al solito, non capisci, loro – loro! – sono più avanti, noi siamo lo scarto del mondo, poi abbiamo avuto Berlusconi, ma scherzi?!

No, non scherzo e non ho mai scherzato sull’argomento e, per documentarlo, copio-incollo un mio articolo pubblicato il 7 maggio 2010 – udite udite: più di tre anni fa – su “Il Tempo”, allora diretto da Mario Sechi. Tema: giochiamo ai quattro cantoni, ossia dell’unità d’Italia mai realizzata.

Buona lettura in controtendenza e che non sia mai detto che abbiamo a che fare con la perfida Albione…

Giochiamo ai quattro cantoni– Il Tempo- 7 maggio 2010
Non c’è niente da fare. Il politicamente corretto, alla fine stufa. E’ palloso e stantio e soprattutto non indica nessuna strada alla politica. Il limite più grave. Prendiamo l’unità d’Italia. Ne parlano i leghisti con il classico senso della realtà e subito si agitano le acque come se si bestemmiasse in chiesa. Calderoli afferma il principio di realtà: se l’unità d’Italia, oggi, non passa per il federalismo, si fa solo chiacchiera salottiera. Infatti, fino ad oggi, con il freno a mano tirato su questo snodo cruciale si è fatto chiacchiericcio indistinto, senza tono e sostanza. L’Italia ha visto in campo molti progetti di unità nazionale, ha vinto quello delle élites piemontesi. Qualcuno dirà massoniche, qualcun altro dirà anticlericali, sia come sia, ha vinto quell’idea. Ma questo non è un dogma perché nella storia vige il revisionismo intelligente. Dunque, cari laici filo-sabaudi, largo alle critiche e al pensiero. Zaia, fra gli altri, ne ha uno, niente male: la nazione è divisa, ci sono già due Italie, il Nord e il Sud, allora tanto vale prendere di petto la questione e sottrarre al centralismo giacobino l’egemonia. Meglio un cantone europeo con territorio che si autogoverna, legifera, rimane ancorato alla propria storia, alla propria tradizione e alla propria lingua. Così si fa solidarietà inter-territoriale e, aggiungo, inter-distrettuale. Un cantone europeo con Padania, Svizzera e Slovenia. I quattro cantoni, se ci mettiamo il cantone del Sud Italia. Se ne discute di geografia a macchie di leopardo in Europa e nel mondo, perché la globalizzazione passa per i territori attraverso flussi ingovernabili dagli stessi vincoli nazionali e di sistema-paese. Dov’è lo scandalo? Inoltre, l’Italia dei quattro cantoni, l’Italia-Europa dei quattro cantoni, è l’Europa dei popoli sui territori, con intrecci e reti socioeconomiche non indifferenti. Roba che non si può fare al di fuori delle trame di unità dei distretti industriali e culturali. Che superano i confini ottocenteschi. Zaia cita Napolitano e il suo richiamo alla coesione nazionale. E’ coeso ciò che può stare insieme e allargare lo spettro della società italiana. Non serve a niente ignorare che la Calabria è più vicina al Marocco che alla Svizzera. Anzi. Del resto, questa spinta “cantonale” ha radici in storie trasversali e nobili. Penso al teorico dei distretti industriali, Giacomo Becattini, che osserva: “La proposta pratica che mi pare discenda dall’analisi dello sviluppo locale è una combinazione ancora poco definita, quindi da approfondire assai, fra una “cantonalizzazione”,diciamo infra-nazionale, da un lato, e un’integrazione, diciamo continentale, degli stati-nazione, dall’altro”. Inoltre, si precisa che il “cantone” è “una federazione
di comuni”, e “che in sostanza ripete in piccolo lo stato-nazione”.
Federalismo a geometria variabile: art. 116 della Costituzione. Oggi conta il radicamento territoriale – dunque locale – non ristretto. I quattro cantoni non sono uno spazio localistico asfittico. Macroregioni alla Miglio e luoghi concreti. Non si può stare insieme come apolidi o spaesati. Ciò toglie al quotidiano dei cittadini quella giusta quota di joie de vivre, oggi necessaria come il pane. Le banche di credito cooperativo potrebbero favorire la ricchezza di arre più vaste e coese. Muterebbe la forma del risparmio e la cultura diventerebbe coltivazione di una idea per stare insieme. Un ethos, che poi, in greco, vuol dire “luogo”. Giochiamo ai quattro cantoni. Per l’Italia.

Raffaele Iannuzzi

 

Wsj + Ft = giornaloni fuori tempo massimo

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